Roberto Vecchioni Io non appartengo più
2013 - Universal
In altre parole, un disco fosco ma non pessimista, di bilancio ma non di bilancio definitivo, in cui la lotta ontologica si pone ora e sempre come continua, chè non si spiega altrimenti il senso sotteso al ring (ancorchè incruento e, quasi quasi, salottiero), spiattellato in copertina. Vero è dunque che Vecchioni torna a elucubrare di sovente sulla Nera Signora - e, più o meno, intorno ai massimi sistemi -, ma lo fa senza autocompiacimenti né pessimismo storico, che nel cd non mancano, anzi, le strizzatine d’occhio ad air play più soleggiati (Sei nel mio cuore), e gli immancabili ritratti di donna: un occhio all’amore (Come fai?), uno alla coscienza civile (Le mie donne, Due madri), uno alla poesia (Wislava Szymborska).
Anche in quest’album Vecchioni tiene ben presente il senso ultimo della sua autobiografia (che finisce con l’assomigliare, in fondo, a quella collettiva), inspessita dalle sue favole, i suoi simboli, dai film, dalle canzoni, dalle botte date e prese, in una galleria di istantanee che dalla Grecia antica si spinge fino all’attualità. Ora attraverso identificazioni scoperte con gli eroi-paradigma della classicità (Esodo), ora attraverso autobiografismi sparsi (Sui ricordi, Ho conosciuto il dolore), ora evocando sogni impossibili come ancore di salvezza (Il miracolo segreto). E se da un lato Così si va è un frame chiaroscurale appeso in bilico all’ultimo momento (ah, che sublime struggimento, e quella lacrima in perenne punta di ciglio quando ascolti i dischi di Vecchioni), la title-track sfoggia i connotati della presa di distanza + i crismi della canzone ferro & fuoco.
L’incipit è articolato ma serve a farsi un’idea dell’aria generale che tira nella canzone: “Io non appartengo più alle cose del mio tempo/ non mi riconosco più lì nascosto dietro un canto/ Non mi basta nemmeno il cuore per giustificare, capire, sentire, immaginare/ Non mi basta la forza per voltarmi e non guardare/ Io non appartengo più quando un uomo è clandestino/ in una nave senza rotta già segnata dal destino/ Io non appartengo più ai borghesi, agli inciuciai, alle banche, ai cazzinculo e mi scuso/ ma c’ho pure il dubbio che sia perfino Dio un refuso”. E poi, infine, il cantautore è tutto qua, prendere o lasciare: lirico, popolare, intimista, politico, romantico, crudo, dibattuto, coltissimo. A sei anni di distanza dal suo ultimo di inediti (Di rabbia e di stelle) non poteva ri-presentarsi in forma migliore: un ritorno che fa battere il cuore e coinvolge per la forza delle parole, per il pathos che traspare dalle interpretazioni. Meriti che, qua e là, fanno chiudere un occhio sul già visto e sentito musicali. Io non appartengo più è un disco vecchioniano fino all’osso e dunque da non perdere.