live report
Roberto Vecchioni Giardini Iblei - Ragusa Ibla
Concerto del 03/06/2018
La dimensione acustica è ideonea al fiammeggiare del logos vecchioniano. Un contrafforte ideale alle stratificazioni climatiche di canzoni e cicogne (se mi passate il calembour), quante riuscite a contarne sotto il tetto notturno dei Giardini Iblei, altrove in bilico sugli inciampi del tempo. Una costellazione semi-straniante di parole e parole – parole dette, cantate, evocate, inseguite, declinate e prese a morsi, un po’ come la vita –, andando al passo di musica e poesia. Parole tese, spese, perse, pronunciate di istinto, sottratte ai poeti, al senso inverso e ai paradigmi dell’epica, progenie di rabbia e di stelle.
Silenzio insomma, perchè da adesso in poi parla/incanta il cantautore. Si apre con l’inarrivabile L’ultimo spettacolo (pubblico e privato transustanziati in epica), si chiude in zona bis, con la canonica Samarcanda (anticipata dall’altra immancabile, Luci a San Siro), senza violino spiritato a seguito, e trainante lo stesso sulla scorta eclettica del maestro Germini. In mezzo tanto altro, fra quello che ti aspetti e quello che ti aspetti meno: Alessandro e il mare, per schiudere all’umano-troppo-umano celato dietro al mito; Il cielo capovolto (mutuata da Saffo) e Le lettere d’amore (invece da Pessoa), per appellare la vis della parola poetica (che è parola sentimentale in senso ampio del termine). Figlia, con i suoi transiti di propedeutica da mandare a memoria (“E figlia, figlia/ non voglio che tu sia felice/ ma sempre contro/ finchè ti lasciano la voce/ vorranno/ la foto col sorriso deficiente/ diranno/ non ti agitare che non serve a niente/ e invece/ tu grida forte/ la vita/ contro la morte”), come anche Sogna ragazzo sogna (“E ti diranno parole rosse come il sangue/ nere come la notte/ Ma non è vero, ragazzo/ che la ragione sta sempre col più forte/ Io conosco poeti che spostano i fiumi col pensiero/ e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo”).
Lo specifico autoriale di Roberto Vecchioni è una protratta rivisitazione di storie – di archetipi, di suggestioni, di confini, di vite - proprie e altrui. E dunque non sorprende che La bellezza rimandi in forma tanto mirabile alla tanatologia sentimentale di "La morte Venezia" di Mann; così come Vincent al rapporto tormentato tra Van Gogh e Gauguin. Per dirla tutta - e in ultimo - sulla scaletta di questo live dal nitore ammaliante (e furtive lacrime in punta di ciglio), si sono ascoltati inoltre due capisaldi della produzione più recente: la dolorosa – e applauditissima - Le rose blu e la resiliente Chiamami ancora amore: coniugazioni ennesime di cuore e parola sulla dirittura del tempo.