Queens Of The Stone Age Era vulgaris
2007 - Interscope Records
Il nuovo album dei Queens Of The Stone Age è stato sottoposto a questo gioco facendo urlare a seconda dei casi al capolavoro o alla delusione assoluta. Personalmente credo che queste valutazioni facciano il gioco del mercato e non dell’ascoltatore attento a capire quanto un cd sia più o meno buono.
“Era vulgaris” non è difatti un disco che fa il botto, come era successo con “R” e “Songs for the deaf”, ed è un gradino sotto il precedente “Lullabyes to paralize”, che conteneva almeno tre o quattro pezzi di valore.
Josh Homme e compagni non hanno comunque ancora fatto il loro tempo e continuano a macinare rock suonando un po’ acidi e un po’ da spavento, come fossero i Kyuss in una versione tamarra o i Kiss senza zeppe.
Il titolo fa pensare ad un approccio non esattamente raffinato e difatti il suono si assesta su colpi duri ed ossessivi, garantiti dal trio Homme-Castillo-Van Lueween: sono loro l’ossatura di una band su cui non sarebbe più il caso di far aleggiare il fantasma di Nick Olivieri e dei soliti ospiti (Mark Lanegan, Trent Reznor e Julian Casablancas, qua praticamente superflui).
I Queens Of The Stone Age si preoccupano di suonare soprattutto tosti e quadrati e forse per questo in scaletta non ci sono grandi canzoni. Ci sono però pezzi più malefici di quanto dica un booklet che sembra la parodia di un manifesto da porno-shop: più che il singolo “Sick, sick, sick”, buono da pogare a testa bassa, è “Misfit love” a suonare per così dire esemplare con gli strumenti che progressivamente costruiscono un funk durissimo su cui le chitarre insistono psicotiche.
Il disco si muove su queste coordinate portando colpi ora più brutali (“Battery acid”) ora più accessibili (“Make it with chu”, che già era sull’ultimo episodio delle Desert Sessions e sul live, così come “The fun machine took a s**! & died”). In mezzo ci stanno una “Into the hollow” con Homme che canta a la Lanegan e finisce per imbastire la canzone più autorevole del lotto, e poi una serie di esercizi da paura conclusa con i sette minuti di “The fun machine took a s**! & died” che tornano ad alzare la media procedendo come una hard-jam sotto acido.
Arrivati in fondo “Era vulgaris” fa l’effetto di un tunnel degli orrori: a tratti spaventa e a tratti lascia con un’espressione da cazzoni divertiti. L’obiettivo minimo, far pogare i fans e far fare un giro agli altri giusto per metterli in subbuglio, è stato raggiunto.