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Michael Mcdermott Orphans
2019 - Appaloosa Records / IRD
Spesso è lo stesso cantautore che le riscatta e le ritrova, proponendole nei propri live, e saggiando la reazione del pubblico a riguardo; altre volte sono gli amici, che insistono, perché non trovano giusto che alcuni pezzi vengano esclusi. In ogni caso, non sempre l'operazione riesce.
Nel caso del fuoriclasse Michael McDermott Murphy, il singer songwriter cresciuto nei sobborghi irlandesi di Chicago, le sue Orphans hanno tutta la dignità di essere pubblicate e raccolte in un disco, che idealmente conclude la trilogia, iniziata col fortunato Willow Springs e continuata con Out From Under, e sottolinea la parabola esistenziale di un uomo che ha molto sbagliato, molto vissuto, ma anche molto amato la vita, al punto di risorgere, dopo un periodo che definire tormentato è riduttivo.
Dopo 36 mesi in tour, orfano anch'egli della propria famiglia, la moglie e l'adorata figlia, McDermott, abbandonati definitivamente i panni di loser, indossa quelli che meglio gli si adattano, in questa serena fase della propria esistenza, alternando ballate pregne di sentimento, come la dolce Black tree Blue sky, dall'arpeggio delicato e dall'interpretazione appassionata, a cavalcate rock dense di energia, come Givin up the Ghost, con un coro che aspetta solo di essere intonato nel corso degli imminenti live. Già, perché Michael torna tra poco anche in Italia; e l'etichetta Appaloosa, sempre attenta al proprio pubblico, fornisce, nel libretto, anche la traduzione in italiano, in modo che l'ascoltatore possa cogliere le minime sfumature del messaggio delle canzoni.
Così, è possibile capire la sferzata di energia che percorre i dodici brani: i ricordi senza nessun rimpianto di Los Angeles, a lifetime ago; la storia della sua caduta in Sometimes when it rains in Memphis; la presenza della madre, morta anni fa, trasformata in un Meadowlark. E, se il fatto che recentemente ha affermato di aver fatto pace con l'ossessione di essere definito il nuovo Springsteen lo porta forse a eccedere nell'omaggio al Boss, in una The wrong side of town molto simile a Dancing in the dark, o in una Richmond che evoca My city of ruins, la schiettezza con cui si confessa agli ascoltatori e l'emozione che trasmette nella conclusiva What if today were my last fanno sì che anche queste dodici orfane possano trovare posto nel nostro lettore, e nel nostro cuore, in attesa di assistere a un concerto, in cui, siamo certi, McDermott le farà brillare come si meritano.