Massimo Priviero Testimone
2003 - XYM / EDEL
“Testimone” è il suo settimo disco: già dal titolo, dichiara una posizione ferma, che non vacilla di fronte al mondo. Il ragazzino che esordiva carico di sogni con “S. Valentino” è ormai uomo: da allora Priviero ha fatto qualche mossa sbagliata, ma non ha mai perso la strada, la sua strada. Se mai è qualcun altro ad aver perso lui.
E lo dimostra questo album, il suo migliore di sempre. Il suono è cresciuto ed il tentativo di aggiornare il rock e la canzone d’autore italiana ha una compattezza, che attinge tanto ai grandi della storia (Springsteen, Dylan, Stones) quanto agli eroi degli ultimi anni (Pearl Jam su tutti): sono nomi da segnalare come segnali posti lungo la strada, come personaggi incontrati nel corso di un’unica storia.
“Testimone” non è un disco anglofono, anzi, è fortemente italiano ed è il disco più personale di Priviero: pezzo su pezzo, è costruito sull’ostinata costanza e sull’identità del suo autore. Laureato in storia contemporanea, Priviero punta lo sguardo su ciò che rimane del mondo: il suo è un rock ad alto tasso emotivo, che si lascia pervadere dell’attuale condizione umana, senza mai smettere di invocare una salvezza.
Se in “Nikolajevka” emergono gli studi di storia del ‘900, in “Terrasanta” traspare la crescente incapacità di comprendere i conflitti contemporanei. Non è un caso che siano questi i brani migliori del disco: il primo è una ballata, impostata come una lettera dal fronte russo, una cui strofa viene affidata a Massimo Bubola, mentre il secondo ha lo stesso peso che aveva “Worlds apart” nell’ultimo album di Springsteen, con un inizio dai sapori etnici orientali e un sviluppo fatto di chitarre tese come sotto un bombardamento.
Più che i ritornelli, è la tensione: i brani non puntano verso l’alto, ma liberano la loro energia a terra, ad altezza d’uomo. Anche un pezzo come “Pazzo mondo”, cover di “Eve of destruction”, viene interpretato con un tiro a due voci e risulta coerente col resto del disco, centrato su una fine del mondo, più reale che metaforica.
Priviero modula la propria voce più che in passato, riuscendo a caricare le sue ballate e a farne uscire il blues con forza e fierezza. Così si mantiene nettamente sopra la media nazionale: “Cielo chiaro” è una canzone d’amore con picchi ben più alti del Ligabue di “Ti sento”, mentre “Agnus Dei” ha un riff del bayou, che surclassa i ritmi ruffiani di Zucchero. Allo stesso modo, “Alice” è per intensità la sua “Drugs don’t work”, con la viola che rende ancora più toccante l’interpretazione.
Emblematica la chiusura: “Ritorno” è una canzone d’autore italiana che sfiora il tex-mex con qualche tocco lieve di basso e mandolino, mentre la ghost-track è una nuova versione di “Nessuna resa mai”, che segna il definitivo ritorno di un vero autore rock: coi tempi che corrono, c’è più che mai bisogno di un “Testimone”.