Massimo Priviero Dolce resistenza
2006 - MBO Music / Universal
Già i dischi precedenti avevano tracciato nella carriera del rocker veneto una strada precisa, ma a partire dall’ultimo lavoro datato 2003 il percorso si è fatto più netto, più orientato attorno ad una forma di resistenza sviluppata dal punto di vista storico e attuale.
“Dolce resistenza” è un titolo chiaro: propone un rock cosciente e impegnato, senza alzare alcuna barricata. Priviero infatti attinge tanto alla memoria quanto al vissuto quotidiano del nostro paese e lo fa facendosi accompagnare da alcune delle voci storiche della canzone italiana: mentre in “Testimone” compariva Massimo Bubola, qua ci sono i Gang (Marino e Sandro Severini) e i Luf (Dario Canossi e Lorenzo Marra). In scaletta c’è poi una cover di “Ciao amore ciao” di Luigi Tenco che assume un ruolo significativo all’interno del disco: portata a Sanremo dall’autore prima della morte, la canzone ha un testo antimilitarista esaltato qua in una versione rock.
Temi forti vengono sviluppati in “La strada del Davai” e “Pane giustizia e libertà”: la prima ha la stessa valenza di “Nicolajevka” nel disco precedente, con un cantato in dialetto veneto e bresciano che focalizza sul ritorno dalla Russia, mentre la seconda è una dedica a Nuto Revelli, eseguita con estremo rispetto insieme ai Gang “per non spegnere gli occhi e per non scordare”.
Priviero ha una capacità sua di far salire i pezzi e lo dimostra a più riprese. Il suo è un rock mainstream che fa della tensione e dell’intelligenza le proprie armi: anche le tracce più cantabili hanno infatti una dignità e un peso emotivo loro. Di questa pasta sono fatte “Italia libera” e “Vincere” e ancora di più “Biglietto di un musicista di strada”, che estende il concetto di resistenza alle condizioni in cui molti si trovano a fare musica.
La carica di qualche traccia fa venire in mente Springsteen (e non solo lui) a riprova del terreno su cui Priviero dirige i suoi passi. Altrettanti anche i particolari che ribadiscono quanto l’obiettivo sia comunque una strada propria, dall’attacco gospel di “Spari nel cielo” alla genuinità popolare data dalla fisarmonica di Lorenzo Marra.
Tutt’altro che secondarie sono poi “Clandestina”, ispirata dalle rivolta delle banlieue parigine, e “Tommy Eden”, sfociata dall’incontro con un musicista di strada.
Nell’arco del disco la tensione cresce al punto che suona necessaria persino la reprise di “Ciao amore ciao”, nascosta come ghost-track nel finale.
Massimo Priviero è un autore che meriterebbe di essere riconosciuto più di altri presunti rockers italiani: se il nostro rock fosse questo, musicalmente saremmo un altro paese. Con meno schifezze in radio e in classifica.