Le Luci Della Centrale Elettrica Per ora noi la chiameremo felicità
2010 - La Tempesta
#Le Luci Della Centrale Elettrica#Italiana#Canzone d`autore #Indie
Non mancano certamente evoluzioni degne di nota o costanti mirabili: con l’ausilio di una squadra di all-stars (oltre a Giorgio Canali, Stefano Pilia, Rodrigo D’Erasmo ed Enrico Gabrielli), Brondi costruisce nuovamente un quadro di minimalismo sonoro di inquietudine violenta e dolorosa, che inghiotte il respiro in nodi di lacrime, ma questa volta si serve di più frequenti trame elettriche di malinconia dolciastra oppure di amarezza velenosa e patogena, che contrastano il ringhiare costante della chitarra acustica di Vasco. Ed utilizza il tenue brillare chirurgico di synths laceranti, bassi neri, organi spettrali e rari bagliori di abissi fondi di pianoforte. La voce tragicamente incalzante di Brondi racconta la drammaticità comune di immagini di crisi interiore ed economica, di “anime assiderate” (Le ragazze kamikaze) e precariato, di povertà che migrano e distanze psico-fisiche, del degrado metropolitano e della “disperazione come forma superiore di critica”, che “per ora chiameremo felicità”, di una citazione di Leo Ferrè.
Il problema è che nei testi quelle che erano combinazioni fulminee di scaglie sanguinanti di un monologo interiore sembrano ora frutto di un meccanismo che associa sociale, intimo e lirico con la fatica del calco dello stile del primo album. Il respiro della musica delle Luci della centrale elettrica è ora più ampio e avvolgente, come provano ad esempio i crescendo lancinanti e i brividi sintetici di Una guerra fredda e la rassegnazione per ricami astrali di synths e fioriture dolenti di chitarre elettriche di Le petroliere, oltre agli arrangiamenti magistrali di Le ragazze kamikaze e di Quando tornerai dall’estero. Tuttavia alla maggiore elaborazione musicale non corrisponde un’elaborazione più matura ed ordinata dei versi, ora che la spontaneità e ingenuità degli accostamenti formidabili, traduzioni di stati d’animo in schegge di contemporaneo, è meno credibile.
I miracoli accadono una sola volta e non si riproducono in laboratorio. Lodiamo quindi il nostro Vasco preferito, che ci offre in questo album comunque anche piccoli squarci poetici lancinanti di grande intensità, ma aspettiamo per riacclamarlo, gridando al nuovo capolavoro, che riesca a governare e incanalare (senza spegnerlo, ovviamente!) il magma delle sue istantanee sofferte con una maggiore consapevolezza di intenti, anziché riproporre la mescolanza, conoscendone gli ingredienti. Provaci ancora, Brondi.