Costellazioni<small></small>
Italiana • Alternative

Le Luci Della Centrale Elettrica Costellazioni

2014 - Sony ATV/Gibilterra

07/04/2014 di Mario Bonanno

#Le Luci Della Centrale Elettrica#Italiana#Alternative

Il disco della Pecora degregoriana (Francesco De Gregori, 1974) mi ha assalito alle spalle e ha segnato irrimediabilmente la mia vita musicale. C’è riuscito in forza del clima pre-apocalittico che tira tra i suoi solchi. Per via della sua schiera di simboli lunari in fila indiana. Per la sua aura rarefatta e oscura, per la poetica rovesciata. Sia come sia, quel disco un giorno ha preso e mi incantato per sempre: mai sentito niente di simile prima di allora, e queste sono cose che non si dimenticano. Per quel pochissimo che ancora mi riguarda, le canzoni potrebbero non significare altro che le canzoni in sè, nulla di più o di meno che la forma. Basta soltanto che le parole sappiano il fatto loro, sappiano dove andare e perché. Basta che suonino di loro, evochino un mondo loro, evochino quello che gli pare: la cosa che conta davvero è che siano capaci di darti alla testa come una pista sintetica che sa di poesia. La musica è una contingenza, un valore aggiunto, la forza del testo è ciò che importa: non prendetevela con me, prendetevela con lo stra-ordinario album della Pecora di Francesco De Gregori.

I dischi di Vasco Brondi (alias Le luci della centrale elettrica) sono quanto di più degregoriano mi riesce di assimilare nella landa desolata (& illetterata) del post-cantautorato 2.0. (insomma sapete ormai come la penso, la penso moltissimo come Battiato: la musica contemporanea mi butta giù). Sono fluviali, sono scritti benissimo, senza alcun risparmio: Vasco Brondi evoca il qui e ora della fine del mondo conosciuto come nessun altro (che abbia meno di cinquant’anni). Malgrado gli acuti gridati a gola tesa (simil-Rino Gaetano) descrive il collasso ontologico di un bel po’ di generazioni con il distacco glaciale dell’entomologo, roba da brividi sulla schiena. Nei suoi dischi la sublime cripticità del primo De Gregori si combina a visioni no-future di stampo post-punk, sfociando in una poetica senza scampo e senza nemmeno vie d'uscita. Fradicia di nebbia, afasia, ectoplasmi di umanità, macerie della civiltà (dei consumi: degli amori consumati, delle droghe consumate, degli ideali consumati; e dei sogni morti all’alba). Vasco Brondi non canta: salmodia, quasi sempre. E poi all’improvviso urla, urla quando meno te lo aspetti. Un grido e un atto di dolore insieme.

Per metterla un po' sull'immaginifico, è come se Brondi dovesse vedersela a stretto giro con gli stessi universi interiori di Bosh (nero-notte, nero-pece, nero-cuore), reitera una ritrattistica di vite spaesate in contesti incongrui, vezzeggia l’ossimoro, il non-sense, corteggia l’allucinazione, lo scarto significante/significato, le libere associazioni. Scaraventa la storia contemporanea a distanze siderali, per via di un effettistica straniata e straniante, un poco alla Battiato pre-Sgalambro. A proposito: avete fatto caso che nella traccia capofila di Costellazioni  (La terra, l’Emilia, la Luna) il “centro di gravità permanente” battiatesco diventa “centro di gravità almeno momentanea”?  E che in Una cosa spirituale, il calembour sfiora anche l’alta scuola di De Andrè, con quel “e se ti tagliassero a pezzetti il vento il vento/ li disperderebbe” che raggela il più rassicurante “raccoglierebbe” originale? Credete davvero sia soltanto un caso? Io credo piuttosto che Vasco Brondi abbia fagocitato dischi come un bulimico torte di cioccolato, aggiornando mirabilmente la tradizione cantautorale alla fine della storia e al punk/rock inglese.

In ultimo e in diverse parole, Costellazioni è l’ennesimo disco buio della serie ...Centrale elettrica, ma è di una tenebra feconda, ammaliante: quindici tracce muscolari, su tappeti sonori pulsanti in bassa fedeltà, impressioni di settembre allargate ad altri spiccioli di tempo, al poco o tanto che ci resta da vivere e da spendere, tra una rarefazione e l’altra, tra Un bar sulla Via Lattea e un Padre Nostro dei Satelliti. Tra le linee d’ombra passate e future di Sonic Youth e Firmamento (che il dio della storia militant-punk possa mantenere sempre desta la memoria dei CCCP). Tra gli astratti furori di I destini generali e la graffiante simil-disco di Ti vendi bene tu (“Bandiera rossa sventolerà ma solo sulla costa/ del mare in tempesta”), un “videopoker” e un “compro oro”, un ossimoro e l’altro (Questo scontro tranquillo, Punk sentimentale - ma dove si è visto mai un punk sentimentale?), Macbeth nella nebbia e Guerra lampo pop. Un’imperiosa semantica dal grado zero di senso, capace di (im)porsi come vaticinante e universale, capace di ascendere, discendere, trascendere dal quotidiano alle stelle fisse della poesia urbano-simbolista, Un disco che si ama o che si odia, senza mezze misure. La cosa più difficile, comunque la pensiate, è restargli indifferente.

Track List

  • LA TERRA, L’EMILIA, LA LUNA
  • MACBETH NELLA NEBBIA
  • LE RAGAZZE STANNO BENE
  • I DESTINI GENERALI
  • I SONIC YOUTH
  • FIRMAMENTO
  • UN BAR SULLA VIA LATTEA
  • TI VENDI BENE
  • UNA COSA SPIRITUALE
  • PADRE NOSTRO DEI SATELLITI
  • QUESTO SCONTRO TRANQUILLO
  • PUNK SENTIMENTALE
  • BLUES DEL DELTA DEL PO
  • UNA GUERRA LAMPO POP
  • 40 KM

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