Le Luci Della Centrale Elettrica Costellazioni
2014 - Sony ATV/Gibilterra
I dischi di Vasco Brondi (alias Le luci della centrale elettrica) sono quanto di più degregoriano mi riesce di assimilare nella landa desolata (& illetterata) del post-cantautorato 2.0. (insomma sapete ormai come la penso, la penso moltissimo come Battiato: la musica contemporanea mi butta giù). Sono fluviali, sono scritti benissimo, senza alcun risparmio: Vasco Brondi evoca il qui e ora della fine del mondo conosciuto come nessun altro (che abbia meno di cinquant’anni). Malgrado gli acuti gridati a gola tesa (simil-Rino Gaetano) descrive il collasso ontologico di un bel po’ di generazioni con il distacco glaciale dell’entomologo, roba da brividi sulla schiena. Nei suoi dischi la sublime cripticità del primo De Gregori si combina a visioni no-future di stampo post-punk, sfociando in una poetica senza scampo e senza nemmeno vie d'uscita. Fradicia di nebbia, afasia, ectoplasmi di umanità, macerie della civiltà (dei consumi: degli amori consumati, delle droghe consumate, degli ideali consumati; e dei sogni morti all’alba). Vasco Brondi non canta: salmodia, quasi sempre. E poi all’improvviso urla, urla quando meno te lo aspetti. Un grido e un atto di dolore insieme.
Per metterla un po' sull'immaginifico, è come se Brondi dovesse vedersela a stretto giro con gli stessi universi interiori di Bosh (nero-notte, nero-pece, nero-cuore), reitera una ritrattistica di vite spaesate in contesti incongrui, vezzeggia l’ossimoro, il non-sense, corteggia l’allucinazione, lo scarto significante/significato, le libere associazioni. Scaraventa la storia contemporanea a distanze siderali, per via di un effettistica straniata e straniante, un poco alla Battiato pre-Sgalambro. A proposito: avete fatto caso che nella traccia capofila di Costellazioni (La terra, l’Emilia, la Luna) il “centro di gravità permanente” battiatesco diventa “centro di gravità almeno momentanea”? E che in Una cosa spirituale, il calembour sfiora anche l’alta scuola di De Andrè, con quel “e se ti tagliassero a pezzetti il vento il vento/ li disperderebbe” che raggela il più rassicurante “raccoglierebbe” originale? Credete davvero sia soltanto un caso? Io credo piuttosto che Vasco Brondi abbia fagocitato dischi come un bulimico torte di cioccolato, aggiornando mirabilmente la tradizione cantautorale alla fine della storia e al punk/rock inglese.
In ultimo e in diverse parole, Costellazioni è l’ennesimo disco buio della serie ...Centrale elettrica, ma è di una tenebra feconda, ammaliante: quindici tracce muscolari, su tappeti sonori pulsanti in bassa fedeltà, impressioni di settembre allargate ad altri spiccioli di tempo, al poco o tanto che ci resta da vivere e da spendere, tra una rarefazione e l’altra, tra Un bar sulla Via Lattea e un Padre Nostro dei Satelliti. Tra le linee d’ombra passate e future di Sonic Youth e Firmamento (che il dio della storia militant-punk possa mantenere sempre desta la memoria dei CCCP). Tra gli astratti furori di I destini generali e la graffiante simil-disco di Ti vendi bene tu (“Bandiera rossa sventolerà ma solo sulla costa/ del mare in tempesta”), un “videopoker” e un “compro oro”, un ossimoro e l’altro (Questo scontro tranquillo, Punk sentimentale - ma dove si è visto mai un punk sentimentale?), Macbeth nella nebbia e Guerra lampo pop. Un’imperiosa semantica dal grado zero di senso, capace di (im)porsi come vaticinante e universale, capace di ascendere, discendere, trascendere dal quotidiano alle stelle fisse della poesia urbano-simbolista, Un disco che si ama o che si odia, senza mezze misure. La cosa più difficile, comunque la pensiate, è restargli indifferente.