Graziano Romani Soul Crusader Again - The Songs of Bruce Springsteen
2017 - Route 61 Music / BTF
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L'attenzione anche questa volta è puntata sullo Springsteen autore “in purezza” più che sul performer epico e gran cerimoniere da tre ore e passa di concerto a sera, con tutta l'enfasi che questo riverbera sui suoi cavalli di battaglia. Una scelta minore, forse ovvia per chi ha praticato gli angoli nascosti della musica del Boss da una vita, ma l'effetto è comunque quello di una grande nostalgia per la vecchia scrittura springsteeniana. L'obiettivo è focalizzato in particolare su una manciata di pezzi a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, con un paio di puntate nei decenni di successivi. La nutrita compagnia di musicisti che accompagna il leader li riveste di un accompagnamento efficace, sobriamente chitarristico, che conta sulle presenze fisse di Erik Montanari alla chitarra elettrica e Lele Cavalli al basso.
Romani, come da tradizione, grazie ai suoi notevoli mezzi vocali mette a nudo e quasi riscrive l'anima più soul e rhythm and blues di Springsteen, che su quei generi si è formato, imbastardendoli con altre influenze. Facile per lui andare a nozze con pezzi come Protection, prestato a Donna Summer (il disco omonimo è del 1982), e il tris di brani tratti da On The Line (1982) di Gary U.S. Bonds, il mitico rocker dei sixtees che tanta influenza ebbe su Bruce e Steve Van Zandt. I due ne firmarono addirittura il ritorno sulle scene, nei primi anni Ottanta, come produttori e autori di diversi pezzi in due dischi. Di quell'esperienza non troppo nota qui ci sono Hold On (To What You Got), la programmatica Club Soul City, ricalcata dal Boss su tanti autorevoli modelli, e Love's On The Line, con il potentissimo ritornello e il ricamo inaspettato di un'armonica; nello stesso lotto bisogna però includere Lion's Den, uscita poi solo su Tracks, scanzonata, festaiola e guidata dal sassofono di Max Marmiroli.
Fin qui l'ipotetica “side a”, che viaggia a confortevole velocità di crociera, completata da una Because The Night forse un po' fuoriposto in una raccoltà di rarità. Poi il programma è più vario, con un paio di sorprese, soprattutto negli episodi legati allo Springsteen più pop e leggero degli anni Novanta. Lift Me Up, scritta per la colonna sonora del film di John Sayles Limbo (1999), è trasformata da un arrangiamento efficace che irrobustisce il pezzo, dai riverberi della chitarra in apertura alle linee sinuose del sax che non mollano fino alla fine. Altrettanto riuscito il trattamento di The Long Goodbye (da Human Touch, 1992), costruito intorno intorno ai nudi accordi della chitarra acustica e impreziosito dai suoni dell'harmonium (Andrea Rovacchi): davvero un bel tiro. Poi tocca a due pezzi da prima fila. Factory, riproposta di recente anche da Lucinda Williams, abbandona le tastiere dell'originale per un più stringente taglio chitarristico, ma non cattura fino in fondo. I lacrimoni sono tutti per la finale The Promise, che per ogni springsteeniano che si rispetti è già un classico, anche se è rimasta inedita su disco fino al 2010. Si sente che Romani moriva dalla voglia di cantarla (la registrazione è addirittura del 2002, con una formazione diversa), e lo fa rispettando e approfondendo tutti i passaggi emotivi del pezzo, denso come un romanzo e montato come un film sull'eterna promessa del rock. Una progressione avvincente, avvolta da un drumming ben calibrato, che raggiunge il culmine all'esplosione di quell'urlato “thunder road”, messo lì da Bruce quasi come un'autocitazione.
Anche senza fare i conti con lo chef, con il ritorno di Little Steven e questo Soul Crusader Again ecco apparecchiata una bella estate springsteeniana. Nell'attesa di buone nuove dalla cucina...