Cristina DonÁ Cristina donÁ
2004 - MESCAL / RYKODISC
Invece in casa Donà e in casa Mescal, devono aver fatto bene non solo i calcoli: “Dove sei tu” esce in tutto il mondo con l’appoggio della Rykodisc e soprattutto non è solo la versione inglese dell’album pubblicato un anno fa.
Sono stati apportati dei piccoli, significativi cambiamenti, che hanno reso il lavoro convincente e rappresentativo delle qualità della Donà, ancora più di quanto lo fosse la versione originale in italiano. Se quel disco aveva un “difetto”, era quello di avere tanta carne al fuoco.
Questa nuova versione di “Dove sei tu”, ribadiamo “nuova”, presenta invece una capacità di scelta che esalta la personalità e la voce della Donà: dove in precedenza c’era un continuo approfondire, scavare, spingere, ricondurre, lavorare di traccia in traccia, ora c’è un mirare ben preciso. Evidente il merito di Davey Ray Moor in fase di rimasterizzazione e traduzione, ma immaginiamo altrettanto importante anche quello logistico-morale di Davide Sapienza e delle due etichette discografiche.
La scaletta è stata sfrondata dei due brani più italiani (“Il mondo” e “L’uomo che non parla”) e modificata nell’ordine, cosa non da poco, che mette in risalto l’attitudine cantautorale aperta della Donà.
“The Truman show” arriva ora dopo quattro ballate “acquatiche” come uno sfiato necessario all’immersione su quel fondale a cui conduce la voce di Cristina: ribadiamo che la Donà ha il raro dono di catalizzare l’attenzione solo con la propria voce e questa caratteristica deve essere messa in condizioni di poter emergere.
L’attacco di “Invisible girl”, con i cori posti all’inizio, sottolinea ulteriormente l’incantata immaterialità di “Invisibile” così come i suoni più aspirati di “Triathlon” rendono il groove meno spinto e spigoloso: in poche parole, è un disco ancora più omogeneo in cui le capacità di Cristina vengono portate in superficie seguendo un’unica corrente ascensionale.
Per chi poi avesse dei dubbi sulla riuscita delle canzoni in inglese, consigliamo un ascolto con i testi a fronte in entrambe le lingue (in alcuni casi si tratta di riscrittura più che di traduzione), mentre per la pronuncia vale come esempio “How deep is your love” dei Bee Gees, cantata con l’accento soul che Jeff Buckley metteva nelle sue cover.
Anche l’aggiunta di “Goccia” (da “Nido”) ha una sua logica: non è una mossa a sorpresa per sfruttare la presenza di Robert Wyatt, ma una scelta voluta per chiudere un ciclo di canzoni “acquatiche” cominciate con “Ultramarine”.
Messo così, il concetto merita ed è davvero in grado di passare anche all’estero.