Andrew Bird Armchair apocrypha
2007 - Fat Possum
È perciò in continuo aumento il numero dei cosidetti eclettici, musicisti in grado di suonare o più che altro di frullare qualunque cosa. Tra i tanti che corrispondono a questo identikit, c’è qualcuno che si distingue per un composto originale e allo stesso tempo omogeneo, non una semplice miscela di elementi.
Uno di questi è Andrew Bird, violinista che già abbiamo avuto modo di presentare su queste pagine. Alla luce di questo terzo disco solista ci sembra significativo che la sua carriera si sia sviluppata sulla via del pop a partire dalla Righteouse Babe di Ani Difranco, una delle etichette indipendenti più coraggiose, per approdare ora alla Fat Possum, label un tempo specializzata in blues: anche questa è prova di un’attitudine personale ed appunto eclettica.
“Armchair Apocrypha” è la conferma del talento di un musicista in grado di volare leggero sopra i generi con un approccio colto ed ironico.
Azzeccata la copertina che lo identifica con un pappagallo, connubbio che calza bene visto che il nostro ama tradurre le sue doti canterine in parti spesso fischiettanti, se non cinguettanti.
Registrato tra Minneapolis e Chicago, l’album si muove tra il grave e lo scanzonato, tra il funesto e l’ironico, al punto che ad un primo ascolto non lo si direbbe un lavoro centrato sulle estremizzazioni della società odierna. Bird invece ha costruito un disco in cui le variazioni stilistiche e sonore si sviluppano in modo organico seguendo una scrittura e un linguaggio mai banali.
Merito delle sue intuizioni, che qua danno spazio al violino, ma anche alle chitarre, al Fender Rhodes e al wurlitzer, e merito soprattutto della sua voce, capace di tessere interpretazioni in equilibrio tra l’indie-rock, il pop, il folk e la musica da camera.
Il punto più alto della scaletta sta in “Imitosis”, una ballata venata di profumi esotici e movenze cubane (che sviluppa quanto fatto in “I” su “Weather systmes”). Spiccano anche “Simple X”, che gira moderna su un ritmo a la Radiohead, e “Scythian Empires”, che è un po’ il marchio di fabbrica di Bird con quel saltellare pop condotto su una sorta di filastrocca.
Ogni traccia ha comunque la sua peculiarità tra parti sospese, tocchi di un violino pizzicato, un pulsare di chitarre elettriche e keyboards che suggeriscono atmosfere più oscure fino alla conclusione strumentale di “Yawny at the Apocalypse” che suona come un’elegia per la fine del mondo.
“Armchair Apocrypha” è il disco di un eclettico che continua a maturare e a volare con sempre maggior sicurezza sopra questi nostri tempi moderni.