Rolling Stones A bigger bang
2005 - Virgin
È vero, non sono più i ragazzacci sporchi (di blues) e cattivi per i quali valeva la domanda “Fareste mai uscire vostra figlia con un Rolling Stone?”; non sono più quel gruppo da contrapporre al perbenismo dei Beatles; non sono più la band per la quale Andy Warhol si scomodava a creare loghi e copertine (la cover di “A Bigger Bang”, va detto, è davvero improponibile e i tempi della zip di Jagger creata dal maestro della pop art per “Sticky Fingers” sono tramontati). Però, signori, sono sempre i Rolling Stones, sono quella che la stampa definì “the greatest rock ‘n’ roll band ever”, sono il gruppo che ha indelebilmente segnato la storia del rock anni sessanta e settanta e sono stati uno dei gruppi più cool di sempre: questo significa che meritano comunque rispetto e il loro nuovo album, “A Bigger Bang”, deve essere giudicato senza pregiudizi di sorta, come gli album di colleghi più o meno quotati.
Comincio col dire che il nuovo disco degli Stones è un disco assolutamente alla Stones: si parte alla grande con “Rough Justice”, una canzone che non tradisce l’età avanzata dei quattro e sembra suonata da quelli che erano gli Stones anni settanta (il riferimento musicale, chiaro, è “It’s Only Rock ‘n’ Roll”). Molto valida è anche la ballata seguente, “Let Me Down Slow”, orecchiabile e ben costruita: Jagger è in forma e l’affiatamento con Watts, Wood e Richards non stenta a farsi riconoscere.
Sembra, insomma, che gli Stones suonino per divertirsi: le corde di Wood e del pirata Richards suonano bene e libere, senza magari impegnarsi in grandi assoli come un tempo ma facendo di tutto per farsi apprezzare e riconoscere dall’orecchio più attento. Per quanto riguarda Jagger, il buon vecchio Mick si impegna forse più dei compagni cantando sempre al meglio delle proprie capacità e cercando di interpretare al meglio le atmosfere tessute dalla musica (voce graffiante nel rock tirato, voce più malinconica nelle ballate).
E allora dove stanno le pecche degli Stones 2005? Senza dubbio nella composizione delle canzoni. Non basta suonare da fuoriclasse se poi manca la qualità intrinseca in una grande canzone da interpretare: molti sono i riempitivi (“Rain Fall Down”, un funky-rock assolutamente insapore; “Dangerous Beauty”; il blues di “Back Of My Hand”, di certo non memorabile) di fianco ad altre canzoni che convincono maggiormente, senza però che una spicchi decisamente sulle altre, come il primo singolo “Streets Of Love”, reso ancor più orecchiabile da una rinomata pubblicità o il sound classico di“Oh No Not You Again”, dove emerge la sei corde di Keith. Menzione a parte merita “Sweet Neocon”, quella che doveva essere la canzone contro l’amministrazione Bush: è una delle meno riuscite e suona tutt’altro che contestatrice; nel dubbio, meglio avrebbero fatto a lasciarla fuori.
L’impressione che lascia “A Bigger Bang” è allora quella di essere un disco riuscito solo a metà, un insieme di canzoni tutt’altro che indimenticabili suonate però da musicisti straordinari che meriterebbero ben altro repertorio: non mancherà comunque di convincere i fans più accaniti e di lasciarsi ascoltare con piacevolezza un po’ da tutti i rockettari. La sufficienza la meritano comunque e andrà meglio la prossima volta: in fondo, it’s only rock ‘n’ roll …