Pacifico In cosa credi. Canzoni nascoste vol. I
2013 - Carosello Records/Gibilterra
Non a caso sulla copertina di In cosa credi appare per la prima volta, nella sua carriera da solista dopo i Rossomaltese, anche il nome reale di Pacifico, Gino De Crescenzo, e questi brani ne svelano ancora una volta lo sguardo attento, quella sensibilità speciale che sa osservare in punta di piedi, quasi trattenendo il fiato, per restituire intatte le sensazioni e gli squarci di vissuto, gli umori dolceamari e le immagini d’infanzia impresse negli occhi e nella mente.
La title-track era già stata duetto con Manuel Agnelli e chiusa dell’album Una voce non basta (2012) ed è un interrogativo accorato, tra archi misurati e il calore di chitarre struggenti: è una ricerca, ad occhi luccicanti e palpitanti di vita, di “trincee per resistere a tanto insistito dolore”, delle “nostre piccole armi”, individuate nelle parole, ne “gli abbracci, i sorrisi, le candele accese”, nell’aggrapparsi e nel custodire i piccoli tesori delle gioie transitorie, gli affetti, i sogni, nel rischio della bufera e nel fluire alternato di accidenti e fortuna.
Nelle altre tracce ci si imbatte nell’apatia adolescenziale, nelle storie condominiali, completate dall’immaginazione, e nei ricordi di vita famigliare nella lieve La giostra, animata da suoni sintetici e quasi giocattolo, oppure in un credo nell’amore e nella necessità di un’attesa, un orizzonte, persino di un rimpianto (Aprire la mano). Poi, ancora, ecco una dedica a un momento di stasi esistenziale, in cui si è “disperati senza darlo a vedere, in salute senza forze”, si vaga senza una meta e ci si perde tra le percezioni delle cose, “scappando da un ricordo all’altro”; ci si ritrova nel bel mezzo dell’apologo di uno di quei giorni in cui inevitabilmente si anela a fuggire e scomparire, o nel racconto delle speranze sovreccitate della bella stagione, che brilla nella sua fugace accensione di sensualità.
Le sonorità, rispecchiando l’eclettismo di Gino De Crescenzo (a cui il cantautorato classico per fortuna sta stretto), ora sono soffuse e raccolte nel respiro di una folk ballad, impreziosita da ricami di archi minimali, la quale può anche accendersi in un’accelerazione rock, tra suoni distorti (Un breve momento), ora sono sintetiche, giocose (la ballabile e ariosa Sarai l’estate) e sperimentali (nell’evanescente Cazzeggio. Metafore. Filosofia c’è persino la combinazione elettronica e chitarra slide vs il fremere del mandolino); ora l’ebow si gonfia sofferto di languore, come la fame d’amore di chi continua a perdonare e a farsi male in una relazione distruttiva (Non sentire ragioni).
L’avvicendarsi di cambi di stagione, aspettative, corse in bicicletta, l’appassionato affannarsi, stupirsi e rischiare degli uomini sulla terra sono osservati a distanza da una stella lontana, nello spazio e nel tempo, infine nella dolcissima, struggente La stella Arturo, nella sua lancinante e magica bellezza di pianoforte e trame sfumate di chitarra, tra suoni rarefatti e insieme madidi di vita. E questo brano appare la firma ideale di una penna di rara profondità e impareggiabile delicatezza. Brividi (come sempre).