In “Dolci frutti tropicali” le sonorità del cantautore milanese hanno acquisito infatti una maggiore profondità, arricchendosi della “tridimensionalità” dell’impianto dei suoi live, che basano i loro meccanismi di fascinazione sulla studiata addizione ma soprattutto sottrazione di strumenti, per un sound efficace e denso. Per la prima volta d’altronde l’ex chitarrista e cofondatore dei Rossomaltese (ora, come cantante solista, alle chitarre e alle tastiere) ha cercato anche in studio la formula giusta per un calibrato tasso emozionale della sua musica con i compagni di viaggio delle tournee, ovvero Diego Baiardi (piano), Camillo Bellinato (basso), Johannes Bickler (batteria) e Silvio Masanotti (chitarra elettrica).
Il lirismo calligrafico dell’ultimo disco intanto si è mutato in una più immediata capacità di figurazione; la musa di Pacifico resta comunque la malinconia del quotidiano, osservata con attenzione in una marea delicata di piccoli oggetti e piccoli palpiti. Gli archi scritti e diretti da Piero Milesi sono la voce di una sottile inquietudine romantica, dell’ansia d’infinito di uno sguardo sospiroso verso il cielo, scoperto con stupore e meraviglia al di sopra e al di là della soffocante routine della metropoli. Il destino dell’uomo comune, de “L’elefante” della prima ghost-track, che reprime in pacati silenzi le urla della sua rabbia insoddisfatta, sembra però soltanto il “cammino sempre uguale, normale” che canta Samuele Bersani nel duetto “Da qui”. Il paesaggio esotico della copertina esclusiva disegnata dallo storico fumettista Tanino Liberatore resta insomma solo un miraggio da sognare o da aspettare, con un filo di palpabile ironia (v. anche la seconda ghost-track “Made in Cina”) che stempera la sofferenza del percorso irrequieto dell’ “ordinary man”. La condanna all’attesa e alla stasi, nella vana aspirazione al volo, si gonfia di pathos nella splendida “L’inverno trascorre”, costruita da una raffinata base ritmica e impreziosita da lievi ricami di piano, e nella visionaria “Polifemo”, mentre si alleggerisce nelle serene atmosfere di “Nuvola”, caratterizzata da un robusto sfondo elettroacustico, e de “L’incompiuta”, nuovo inno alla precarietà di ogni traguardo, più riflessivo e maturo della divertita “Il faraone” del primo album. In odore di jazz è la cadenzata ballata “L’altalena”, con il flicorno “emotivo” di Roy Paci, mentre zuccheroso è il pop elegante di “Caffè”, in cui Pacifico e Petra Magoni cantano il lento immergersi nel nuovo giorno e insieme il riemergere degli urgenti interrogativi sul futuro immediato.
Arpeggi di chitarra elettrica tramano il singolo di lancio “Dal giardino tropicale”, mentre un giro di accordi acustici apre “Ferro e limatura”: in un disco in cui Pacifico si conferma coscientemente autore votato ad un connaturato intimismo, quest’ultima canzone è l’unico brano “sociale”, che con filtri, percussioni e cori finisce per seguire le linee del ronzante vortice di rumori ed immagini televisive che risucchia l’intelligenza e mette fine al dialogo nelle case dei telespettatori.
Tra musica d’autore, indie-pop e sprazzi jazzati, il cantautore milanese supera la prova del terzo album, dimostrando di aver raggiunto una più rilassata consapevolezza compositiva e uno stile più sciolto e disteso, che mescola con equilibrio il disincanto della maturità all’incanto dello sguardo poetico in trame sonore sapienti e in racconti lontani dal melodrammatico, ma intensamente vicini al lirismo del quotidiano.