My Morning Jacket Evil urges
2008 - ATO Records / Rough Trade
Ora, anche per merito della sfavillante robustezza live di “Okonokos”, c’erano attesa e curiosità attorno all’uscita del nuovo “Evil urges”.
Il disco prosegue sulla linea del precedente lavoro in studio, sfruttando ancora di più suoni moderni ed elettronici, ma non produce l’auspicato passo avanti, anzi suona più pasticciato che definito.
Ci sono meno slanci rock, ma “Evil urges” non è che ci piace meno solo per questo. A mancare è anche la voce di Jim James, che non punta a salire scolpendo l’apice dei pezzi come suo solito, ma si accontenta di giocare sempre più in falsetto a servizio di un pop-rock futurista e cool: a tratti sembra di ascoltare un tentativo di rifare Marvin Gaye da parte di un gruppo di giovani bianchi indie americani.
Già la title-track, con quel richiamo velato ai Radiohead, è un segnale che l’album pulserà verso un suono più elettronico ed orchestrato: le stratificazioni scintillanti a cui i My Morning Jacket ci avevano abituato sembrano diluirsi in scelte che lasciano di stucco, con beat e keyboards ad imbastire accenni rave come in “Highly Suspicious”.
Nel corso della scaletta Jim James e compagni tornano ad accendere il loro soul-rock e a distendere quelle ballate bucoliche da Neil Young moderni, ma lo fanno solo parzialmente, quasi avessero la testa altrove, rivolta verso un obiettivo sempre più eclettico, danzante, contemporaneo. Anche globale, perché il disco mira ad un’utopica umanità, unita ed illuminata nel suo “new fate”.
È tutto lodevole, ma l’impressione è che i My Morning Jacket si siano fatti prendere la mano dalla loro attitudine all’enfasi ed abbiano scelto di produrre un disco ancora più aperto.
Tra qualche affondo di chitarra (anche steel) e groove che alternano beat ad orchestrazioni, la band non ha perso il vizio di suonare, nemmeno quando si lascia andare alla dance come nella conclusiva “Good intentions”. Le intenzioni (ambiziose) rimangono però confinate in un limbo tanto piacevole e sgargiante quanto confuso.
E per coprire le distanze che continuano a sussistere tra i generi (ed anche tra gli uomini) ci sarebbe voluta un’opera più consistente di un puzzle in 3D.