Michael Kiwanuka Home Again
2012 - Polidor
Tutti a fraintendere e ad amplificare la lettura di Retropolis, ma in quanti hanno realmente letto il libro di Reynolds nella sua complessità? (ragazzi non sono stupido ma la lettura, e la comprensione, di questo libro - non di un suo bigino o del suo più leggero predecessore Post-Punk - mi sta impegnando da mesi!)
Certo sono evidenti i richiami a Van Morrison o alla musica d’autore inglese, e non solo, di metà anni ’60 (o metà anni ’70) ma, ad esempio, l’attacco del riff di Tell Me A Tale, primo brano dell’album, mi ricorda le cose migliori della Cinematic Orchestra con quella costruzione circolare del potente riff orchestrale!
In una nazione come la nostra, che da almeno trentacinque anni non ha più nessuno capace di orchestrare in maniera personale assolutamente nulla, c’è chi si mette a fare le pulci a questo disco solo perché ha un sapore troppo antico? Troppo prezioso forse!
Per me questo è un gran bel disco pop senza tempo che, con un po’ di fortuna, si ascolterà ancora tra vent’anni! Non un capolavoro ma un disco, questo sì, costruito con cura artigianale e in stato di grazia.
Inglese, 24 anni e origini ugandesi, Michael Kiwanuka, che praticamente suona metà degli strumenti del disco, costruisce un album vario nelle ispirazioni e nella costruzione armonica che appare omogeneo solo in virtù di una specie di patina sonora, questa si molto storicizzante inizio anni ’70, grazie al lavoro produttivo di Paul Butler (cantante e chitarrista dei The Bees)! Tra i brani migliori l’iniziale Tell Me; I’m Gettin Ready dalle influenze alla James Taylor; I’ll Get Along vagamente morrisoniana; Rest in bilico tra Clapton e John Martin; Home Again molto personale e sentita; l’atmosfera doo woop fine ’50 di Bones, la ballatona Always Waiting e I Want Lie con un uso assolutamente moderno e drammatico dei fiati.
La voce è sempre morbida e attenta a sottolineare bene i passaggi di testo e di registro e gli ultimi due brani sono esemplificativi in tal senso. Soprattutto l’ultima ballata, Worry Walk Beside Me, è cantata con intensità unica.
Kiwanuka non viene dal nulla basta sentire la sua versione di Hey, That’s No Way To Say Goodbye di Leonard Cohen inserito nell’omaggio al canadese pochi mesi fa per avere un’idea precisa delle grandi qualità, anche interpretative, di questo musicista che riesce a essere e “sembrare” molte cose diverse rimanendo sempre, soprattutto, se stesso.
Ps. Personalmente consiglio la versione con un cd bonus con cinque brani tra live e demo. Brani assolutamente interessanti che, se necessario, danno ancor più l’idea della grande personalità di Kiwanuka.