Michael Kiwanuka

live report

Michael Kiwanuka Roma / Parco della musica

22/06/2017 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 22/06/2017

#Michael Kiwanuka#Jazz Blues Black#Soul

La torrida estate romana parla inglese con Michael Kiwanuka, capelli afro e carnagione scura a tradire origini ugandesi, trent'anni e due album alle spalle, Home Again e Love & Hate, per definire un percorso musicale che dal soul abbraccia il funk, il r&b, il rock, la psichedelia, il cantautorato classico e un pizzico di reggae. Inevitabili i paragoni con Smokey Robinson, Marvin Gaye, Sam Cooke e Bill Withers, ma anche con Van Morrison, Dylan, Randy Newman e i Pink Floyd più psichedelici.

Ed è proprio da qui che parte il concerto, il lungo intro di Cold Little Heart mi coglie ancora in cerca di parcheggio fuori dall'Auditorium, per fortuna le operazioni si rivelano meno lunghe del previsto e faccio in tempo a godermi il maestoso e trascinante svilupparsi del brano, una chitarra che sembra toccata da Gilmour e una voce capace di ipnotizzare il microfono. One More Night è una ballata in odore di southern soul, mentre Falling scalda i motori r&b e Black Man In A White World si colora di reggae.

Con Place I Belong e I'm Getting Ready si vola in quel territorio di confine in cui il soul e il r&b incontrano la canzone d'autore, la vace di Michael è calda e morbida al tempo stesso, in alcuni passaggi strizza l'occhiolino al buon Sam Cooke. Come il brano precedente, anche Rest impreziosiva Home Again, il lavoro che nel 2012 ci ha rivelato il talento londinese ed il pezzo è un'altra grande ballad sognante e strappacuori. Il pubblico apprezza, non c’è il pienone delle grandi occasioni, però i presenti non lesinano applausi e cori di accompagnamento nelle canzoni più ritmate.

Rule The World è inizialmente ipnotica, scura e sofferta, a tratti gospel, per aprirsi poi ad un finale più chiaro e disteso, sempre carico di accenti gospel. La chitarra elettrica disegna l'intro di The Final Frame, per una ballad calda e avvolgente, la chitarra elettrica dilata tempi e assoli ad assecondare la voce di Michael, adesso sofferta e strascicata. Si va verso il finale con Father's Child e Marvin Gaye nel motore, il primo bis è Run Like The Breeze prima che Home Again regali, a mio avviso, uno dei momenti più alti della serata, musicalmente ed emotivamente. Una ballad semplice, scarna, eppure capace di colpire al cuore e tenere con il fiato sospeso, la voce di Kiwanuka arriva dritta dagli anni '60, un bianco e nero che profuma di Stax e Motown, dischi con copertine di cartone duro, whiskey e strade che riportano a casa.

Decide però di chiudere festosamente, perché Love & Hate è un ritornello che tutti cantano e qualcuno balla, la musica è anima e corpo, cuore e passione. Un concerto che ha convinto, oltre che per la bravura dell'artista e del gruppo, anche per la versatilità, considerata la diversità di stili proposti. Appunti in negativo la durata, un'ora e mezza secca, troppo corto, sicuramente un'altra mezz'ora ci stava tutta, magari con qualche cover d'autore. Inoltre Michael manca totalmente di presenza scenica, poche parole e una certa staticità sul palco. Ma, come diceva la canzone, il ragazzo si farà...

Nel frattempo...

Home Again

Home Again

One day I know

I'll feel home again