
Miami & The Groovers Dirty Roads
2006 -
Con questo disco autoprodotto intraprendono una strada loro dichiarando apertamente quali sono i punti di riferimenti e le direzioni del tragitto: il titolo è indicativo di un rock di matrice americana vissuto con assoluta dedizione e fede. Non solo Springsteen, ma tanti rocker cresciuti sulle strade della provincia americana, da Tom Petty a Will T. Massey, non importa quanto blasonati: ciò che conta è la passione.
Ed è la passione che i Miami & The Groovers mettono in campo più di ogni altra cosa: lo si capisce dalla cura con cui è impostato il booklet e soprattutto dal suono della band, che cerca in ogni momento un drive caldo e sentito.
Sin dall’attacco di “Rock’n’roll night” si capisce che non si tratta di un gruppo di rockers novellini: i Miami & The Groovers si avvicinano semmai ai Rocking Chairs di Graziano Romani. Il percorso e il background delle due bands è molto simile e quasi altrettanto si può dire della musica con l’unica differenza nella voce: il canto di Lorenzo “Miami” Semprini è infatti l’unico limite del disco. Per quanto lo carichi di una sincera anima rock, Semprini non riesce a tenere la tensione dei pezzi e vacilla spesso anche sulla pronuncia, palesando la dizione inglese tipica di noi italiani, evidente in “Waiting for me” quando la sua voce viene accostata a quella di Joe D’Urso.
I Miami & The Groovers riescono comunque a centrare l’obiettivo trascinando l’ascolto con un rock strutturato con competenza e capacità musicali di tutto rispetto: le chitarre tirano come di dovere insieme alla ritmica, armonizzando bene con le keyboards, ma soprattutto sono i ricami portati dal mandolino, dalla fisarmonica e dal violino a dare lustro ai pezzi come “Lost” e “Back in town”.
Tutto il disco è intriso di momenti rock che si possono ricondurre di volta in volta a maestri come Mellencamp o Creedence Clearwater Revival piuttosto che ai padri del folk come Woddy Guthrie e Dylan e a miti come Chuck Berry e Buddy Holly. Oltre che nella cover di “Further up on the road”, la lezione di Springsteen è seguita anche in “It takes a big rain” e nell’armonica a pieni polmoni di “Hard times”.
Il tutto è corroborato da qualche intervento di sax e da un paio di voci che aumentano il tasso del cd: quella dell’amico Joe D’Urso nella sua “Waiting for me” e quella di Marino Severini dei Gang che dà uno spessore diverso a “Tears are falling down”.
I Miami & The Groovers dimostrano di aver imparato bene la lezione del rock americano e di applicarla su sè stessi, come hanno fatto molte bands cresciute all’ombra dei propri idoli (calza alla perfezione l’esempio di Eddie & The Cruisers).
È solo l’inizio, ma, pur con tutti i limiti del caso, il primo passo è stato mosso nella giusta direzione.