Max De Aloe Quartet Melodic Monk
2024 - Barnum For Art
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Dietro la battuta si nasconde in realtà una questione metodologica e la scelta di un tipo di approccio alla materia musicale che si può riassumere in una domanda: è ancora possibile lavorare con fecondità sul lascito della tradizione jazzistica e dei grandi Maestri senza cadere nel facile ammicco al nazional-popolare (di qualsiasi genere esso sia...) o nella tentazione diametralmente opposta di spacciare per ultra-avanguardia una cosa che poteva esserlo al limite sessanta anni fa?
Ascoltando questo Melodic Monk, la risposta non può che essere positiva. Il confronto con la musica del grandissimo pianista e compositore, della cui opera si immagina un meticoloso lavoro preventivo di ascolto e di selezione dei brani, privilegia una rilettura creativa, ma profondamente rispettosa, senza mai stravolgere il senso degli originali. Come da tradizione per la musica del quartetto, che è ormai giunto al suo diciottesimo anno di attività, quel che conta non è tanto l'esibizione delle singole personalità quanto la costruzione del brano, la cura per il suono d'insieme e l'equilibrata alternanza tra le diverse voci, senza eccessivi solipsismi. Ma tutto questo è ben lungi dal risultare eccessivamente serioso: grazie anche all'ormai lunga frequentazione dei quattro, Melodic Monk brilla invece per naturalezza e per una spontanea predisposizione al gioco che viene giustamente sottolineata anche nelle brevi note che accompagnano l'uscita.
La scelta è quella di approfondire la parte più melodica della “collezione Thelonious”, l'artista universalmente venerato per gli accordi “strani”, gli intervalli inusuali e i ritmi sghembi, lavorando soprattutto sui suoi temi più intimi e romantici. Nei brani selezionati – otto più un pezzo originale – si comprende subito come anche questo aspetto della creatività del maestro del bop sia in realtà inscindibile dal resto: le melodie monkiane sono comunque “scomode”, genialmente sconnesse e segretamente scricchiolanti, oltre che intrise di blues.
Le riletture del quartetto portano alla luce questa loro natura profonda, aggiungendo però gli ingredienti tradizionali della musica De Aloe e tirando fuori di volta in volta un Monk dalle venature più mediterranee, nordiche o latino-americane. Il “testo” originale resta comunque sempre riconoscibile, al punto che è difficile comprendere davvero dove finisca l'itinerario segnato e dove cominci il percorso nuovo, in un intreccio che è una delle principali qualità del disco.
Da 'Round Midnight ad Ask Me Now, da Pannonica a Ruby, My Dear prevalgono le atmosfere malinconiche, i toni intimi e familiari, gli struggimenti carichi di blues. Ma la scaletta non disdegna neppure piacevoli folate di swing (I Mean You, Bemsha Swing, In Walked Bud), che permettono di apprezzare la ricchezza di dettagli dell'instancabile drumming di Nicola Stranieri, i variegati sviluppi del dialogo tra l'armonica cromatica di De Aloe e il pianoforte di Roberto Olzer e l'irrinunciabile contributo poetico del contrabbasso di Marco Mistrangelo.
Il tributo monkiano acquista così un carattere di maggior completezza che va anche oltre gli intenti dichiarati nel titolo, configurandosi come un'affettuosa e intelligente rilettura a tutto campo di un classico, senza strizzare l'occhio alle mode e nemmeno a una pretesa “modernità” ormai consunta.