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Mario Castelnuovo Musica per un incendio
2014 - Egea Music
Flash-back (a uso & consumo delle memorie corte). Quando Mario Castelnuovo stralunò Sanremo coi suoi fili di canapa (1982) e poi lo innamorò con Nina (1984) andavo ancora a scuola e rosicavo, non tanto perché piaceva un sacco alle ragazze quanto per la sua stra-ordinaria capacità di ordire trame irresistibili per musica e parole (chiamatemi scemo!), musiche per un incendio già da allora. Canzoni sbieche, canzoni fuori coro, fuori fuoco, nel senso di in-inquadrabili se non a prezzo di svilirle con dolo, di rintuzzarle in senso univoco, striminzirle: la sola cosa di Mario sulla quale scommettere a occhi chiusi è che l’incrocio dei venti è sempre stato l’incrocio suo, e chi ha avuto da capire, a questo punto avrà giù capito. Chissà quanto c’entri in tutto questo la rarefazione, il clima misurato dei suoi testi cielo-terra, abisso-redenzione, che cantino di guerra o di pace, l’altrove o l’adesso, l’angelo o il diavolo. La scrittura di Castelnuovo è in continua oscillazione dialettica, è un coagulo di suggestioni, scarti, scatti, ripartenze, evocazioni ossimoriche, ombre e luce, folk, jazz, stornello toscano e chansonne de geste, tenuti assieme dal filo rosso dell’ironia. Niente male per uno che si era fatto fama di bel tenebroso. Inoltre c’è lo sguardo sul mondo. Lo sguardo acceso-complice, trasognato quel tanto che basta per sfangarla un altro giro di giostra, lo sguardo dell’acchiappa-bicchieri che non smette di cercare un senso, fosse anche soltanto in una corsa di nuvole svagate, dentro a una chiesa, in un passaggio di rondini del pomeriggio.
Fuoco cammina con me (Adesso). E adesso Musica per un incendio, a deflagrare in un silenzio durato otto anni e chissà quanta vita di mezzo. Un album sfavillante, in continuità col passato e presente di Mario Castelnuovo, perché la musica - come anche gli incendi – non necessita di cambi di forma e sostanza, e nemmeno di troppe parole: musica e incendi suonano, divampano, si raccontano benissimo da soli. Le avvisaglie del fulgore (qualitativo, del cd) sono già in Mandami a dire, nella “petrarchesca”A Certaldo fa freddo, ne Gli amanti. L’incendio vero e proprio nei passaggi-capolavoro Annie Lamour (un attacco sontuoso per una vetero-Bocca di rosa: carnalità e dolce stilnovo al prezzo di uno), Geneviève (amor fou declinato dark “quando mi piglia il nerofumo”), Fessure di cielo (della serie metafisica in pillole e sensualità che ti spezia la vita, a contraltare), Santa Maria delle caramelle (trait-d'union tra alto e basso, incanto e disincanto).
Tornando al generale, 12 brani in tutto, per un album che suona di sortilegio, poesia, innocenza e malizia insieme, dotato di passo e taglio evocativi, né più né meno che gli album da ascoltare e riascoltare di continuo e mandare a memoria. Altre due note ancora: la prima per le parole di (saggia) ontologia spicciola con cui si chiude Trasteverina (con Mario canta Bianca Giovannini) - “Figlia mia, se esci, infilati un sorriso/ chiedi solo questo a tutti i giorni/ ed avrai dieci anni almeno dieci volte/ senza averne mai cento veramente”. La seconda per Lilli Greco (produttore del disco), troppo presto volato via in chissà quale aldilà dei talent scout con testa e cuore.