I La Crus lo fanno da sempre, amano crearsi attorno questa cappa più o meno sottile: da tempo la loro canzone d’autore è filtrata con dosi di elettronica e trip-hop, con il pop e con trepidazioni soul, al punto che qualcuno dice che ne è soffocata, intossicata.
Per questo nuovo disco il progetto si è aperto ulteriormente lasciando entrare anche cinema e letteratura: il cd è accompagnato da un dvd che per ogni canzone presenta un video-clip del Milano Film Festival e da un lavoro testuale che oltre al booklet a firma di Leonardo Colombati arricchisce i brani di riferimenti a Proust, Moby Dick e al Barone di Münchausen.
Come dire che non è solo l’aria plumbea e carica di smog di una metropoli commerciale quella che i La Crus respirano: il loro è sempre stato un approccio colto condotto con la disinvoltura della musica leggera.
Anche stavolta, nonostante la mole di lavoro compiuta, il risultato è un disco leggero che può fare da spunto e da accompagnamento alla quotidianità delle giornate: un disco su cui è possibile anche fermarsi a riflettere, a differenza di quelli dei Tiromancino e di altri colleghi del pop italiano.
Già l’inizio con “La prima notte di quiete” con la collaborazione di Mario Venuti è emblematico di un clima in cui la chitarra acustica è sfiorata da un’elettronica minima, esempio di una canzone d’autore moderna. I pezzi infatti palpitano sempre tra il tepore della voce di Mauro Ermanno Giovanardi e i suoni algidi delle tastiere e soprattutto di un Rhodes: più mosse “Mondo sii buono” e “La strada”, più immobili “Giorni migliori” e “I miei ritratti”, ma il brano migliore è “Buongiorno tristezza” in cui l’estetica dei La Crus si svolge in un soffio di canzone malinconica ed esistenziale.
Nel suo insieme il disco ha uno sguardo mesto di chi rimane ad osservare il mondo dalla finestra o si concede qualche passeggiata notturna per la città: i suoni urbani delle tastiere e dei beat elettronici prendono il sopravvento in “Libera la mente”, ma aleggiano in tutti i brani rendendo più concreto il disagio verso il mondo. Orecchiabilità e cantabilità non vengono mai meno, anche perchè grazie all’esperienza di “Cuore nudo” la voce di Giò è sempre più a suo agio in un clima raccolto, eppure in ogni pezzo si insinua qualcosa che va oltre la solita initimità della canzone pop italiana: umori e interpretazioni, quasi delle ipotesi di vita che si possono realizzare come mancare. Tutto pare scivolare via, ma rimane sempre un margine di estraneità ad interrogare, come nella conclusiva “Ho ucciso Thurston Moore”.
È un gioco leggero e adulto quello dei La Crus, in cui la canzone diventa un mezzo fruibile e ricercato. Che lascia aperte ancora “infinite possibilità”.