live report
La Crus Live Club - Trezzo Sull’adda (mi)
Concerto del 25/5/2003
Concerto del 23.05.2003
al Live Club
Trezzo sull’Adda (MI) Pensi ai La Crus e la nostalgia non può che avere il sopravvento. Non mi riferisco alla nostalgia allo stato puro che trasuda da buona parte del loro repertorio, ma a quella di un momento che si è rivelato preziosissimo per la musica indipendente italiana, per una certa attitudine a “creare” musica che a distanza di nemmeno un decennio pare essersi volatilizzata, se escludiamo alcuni tra i sopravvissuti a quella nuova onda qualitativa che ci ha consegnato una generazione di artisti per la maggior parte formatisi negli anni ’80 e cresciuti, alcuni con esiti molto fortunati, altri senza particolari meriti, nei primi anni ’90.
La comparsa dei La Crus nel 1994 fu accolta come un piccolo grande miracolo. Una scossa che ha spazzato definitivamente via l’equivoco che certa canzone italiana meno allineata, quindi scomoda, ma non di certo inattuale, portava ingiustamente con sé. I testi di Piero Ciampi e Luigi Tenco tornarono a venir ascoltati senza pregiudizi, grazie ad un intelligente lavoro di riarrangiamento che accostava la struggente melodia di una tromba a potenti urti noise, in una miscela affascinante dall’insistente richiamo crepuscolare e, se volgiamo, esistenzialista.
Cosa rimane oggi di tutto ciò? A distanza di cinque album dall’esordio i La Crus si ripresentano sul palco del Live Club per presentare i brani che compongono “Ogni cosa che vedo”, da più parti salutato come un lavoro segnante il ritorno alle origini di un suono che, se oggi non sa stupire più come allora, almeno ha conservato tutta l’interiore carica implosiva di una poetica sofferta e mai scontata.
Il pubblico di affezionati, in verità assai poco numeroso, all’interno della grande sala tende a disperdersi. In queste condizioni l’equilibrio di una bella scaletta studiata per non scontentare nessuno fa un po’ di fatica nel trovare la giusta tensione con l’ampio spazio che separa gli artisti dalla platea. Nonostante ciò la partenza è suggestiva, con la dura invocazione accompagnata da una sirena di “Dov’è finito dio” e le andature più che mai solenni di “Nera signora” e “Ricordare”. Mauro Ermanno Giovanardi pare aver ritrovato in questo tour il giusto senso della proporzione nell’interpretare versi che riflettono una rinnovata tensione interiore, senza cedere alla facile tentazione dell’autocompiacimento da palco che l’aveva accompagnato nello scorso tour. Se per sottolineare la magia sinuosa di brani dall’ampio respiro (Ad occhi chiusi) a volte basta uno sgabello sul quale poggiarsi, più spesso gli spunti provengono dagli altri componenti del gruppo, tra cui spiccano l’essenziale presenza della sempre efficace tromba di Paolo Milanesi e la discreta mano di Cesare Malfatti, inversamente proporzionale alla sua importanza nell’originare un’alchimia sonora di sicuro impatto. Nei nuovi pezzi (Prima che la notte) spesso l’abbondanza di archi fa tornare alla mente come un deja-vu episodi già frequentati della discografia del gruppo milanese, che in più di un’occasione pare tendere alla riscrittura infinita di una sola canzone, alla ricerca della sua unica e migliore forma ottenibile, la perfezione.
Non mancano interessanti spunti che tendono a ricercare nuove forme cantautorali, come ad esempio “La nevrosi”. “L’urlo”, pur avvicinandosi a certe soluzioni di stampo New Order, si lascia apprezzare, mentre l’atmosfera di “La giacca nuova” mi ricorda, non so perché, “Ballata” dei Litfiba in un rinnovato incanto sospeso.
La delicatissima “Dentro me”, l’industrial di stampo Young gods di “Dragon”, la dolcezza di “Senza far rumore” e la conclusiva “E’ andata via l’estate”, rimangono tra le più emozionanti esecuzioni della serata, ricordando insieme all’immancabile cover “Il vino” del già citato Ciampi che i La Crus hanno saputo scrivere pagine memorabili nella storia della nostra musica degli ultimi anni. La loro esperienza è del tutto imprescindibile per la sensibilità con la quale sono stati capaci di ricercare una nuova via alla canzone italiana, contaminandola e riattualizzandone il messaggio.
È per questo che nonostante gli anni passino, i La Crus vanno assaporati con quel gusto sospeso tra nostalgia, fiducia e attesa che è tipico delle più fragili e preziose esperienze. SCALETTA:
Dov’è finito dio - Nera signora - Ricordare - Come ogni volta - Come una nube - Ad occhi chiusi - Prima che la notte - Dentro me - Dragon - Insieme mai - Voglio avere di più - La nevrosi - L’urlo - Correre - Tutto fa un po’ male - Senza far rumore - Via con me - La giacca nuova - Il vino - Se - È andata via l’estate