Judith Owen Ebb & Flow
2015 - Twanky Records
Così, lodi sperticate per Norah Jones, Madeleine Peyroux o Diana Krall, e un silenzio assordante per chi da vent'anni canta con coerenza, credibilità e sincerità, e si disinteressa di mode e modi fondati sulla commercializzazione di quanto produce, perché rispetta la propria musica.
E' il caso della cantautrice gallese Judith Owen, voce femminile preferita di Richard Thompson, la quale, con il recente Ebb & Flow, presentato anche in due concerti in Italia, raggiunge vette di eleganza e professionalità degne di una considerazione molto più ampia.
Se n'è accorto Bryan Ferry, che l'ha voluta come opening act del suo prossimo tour inglese, e ce ne accorgiamo anche noi, letteralmente conquistati dalle sonorità e dalle storie presentate in queste dodici tracce, un ventaglio ampio di tonalità, umane e musicali, splendidamente corredate dal piano della stessa Owen, e soprattutto dal batterista Russ Kunkel, dal bassista Leland Sklar e dal chitarrista Waddy Wachtel, tre autentici mostri sacri delle sessions leggendarie che hanno dato origine a capolavori di Carole King, Jackson Browne, James Taylor e Joni Mitchell, alla quale la Owen non fa mistero di ispirarsi nell'uso della voce, ora cristallina, ora profonda, sempre espressiva.
Un'immersione in un suono anni Settanta, immarcescibile nelle sensazioni che sa suscitare, anche grazie ai testi curatissimi ed emozionanti, in particolare quando trattano della recente depressione attraversata dalla cantautrice, della scomparsa del padre (in I would give anything, una delle tracce più commoventi), o rievocano il lontano trauma del suicidio della madre (come la bluesy You’re not here anymore, forse il pezzo più à la King di tutto l'album).
Non si pensi però che sia un disco cupo e pessimista; come ha ripetuto la Owen, la musica è per lei una ragione di vita e un'efficace terapia, e lo si avverte nell'approccio arioso degli arrangiamenti, che donano ad ogni canzone una reason to believe, una luce di speranza e di fiducia. Inoltre, la Owen si avventura in svariati territori musicali, fino a toccare la bossa jazz di Some arrows go in deep, oppure la decostruzione e ricostruzione di classici pop come In the summertime, divertente e originalissima cover del tormentone dei Mungo Jerry.
Non lasciamo che Judith Owen resti nella nicchia di culto in cui la sciatteria del mercato discografico l'ha relegata; merita davvero una considerazione molto ampia.