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live report
Judith Owen Milano / T.O.M. Rock Files Lifegate
Concerto del 23/03/2015
Ci eravamo innamorati della voce e della scrittura di Judith Owen con il suo disco Lost & Found (2005), incontrato casualmente, come molte volte accade, in cui aveva dato sfoggio delle sue qualità di cantante, pianista e compositrice ma aveva anche stupito per via di un’attitudine davvero rara nel reinventare cover, così come puntualmente segnalato anche nell’intervista in trasmissione da Ezio Guaitamacchi.
Judith ha tenuto il palco con autorevolezza, grinta e simpatia, ha presentato ogni canzone descrivendone il senso e la genesi, brani che ovviamente provenivano, per la maggior parte, dal nuovo album Ebb & Flow, titolo che potremmo tradurre in “flussi e reflussi”, un coacervo di sentimenti con tema centrale l’amore ma anche le persone care che non ci sono più e i luoghi dell’infanzia, un lavoro che andremo a presentare nel dettaglio in una recensione ad hoc ma che anticipiamo essere di qualità assoluta. La Owen, di origine Gallese, nata a Londra, figlia di un tenore del Covent Garden, ha emulato il padre fin da ragazzina cercando persino, per sua stessa confessione, di replicarne la voce ed il risultato si è tradotto in una vocalità ricca, sicura e potente su tutti i registri, usata con grande perizia, forse tra le migliori oggi in circolazione, mentre le canzoni, sia quelle originali che le cover risentono della grande ammirazione dell’artista per Joni Mitchell, a tal punto che, nella deliziosa e completamente ristrutturata In The Summertime dei Mungo Jerry, Judith confessa di averla ripensata immaginando come l’avrebbe interpretata la Mitchell.
Le canzoni scorrono piacevoli e a tratti emozionanti anche grazie al substrato del pianismo ora stentoreo, altrimenti delicato, di chiara matrice jazz, ad opera della stessa cantautrice e al sostegno fondamentale di “The Section”, ovvero di Leland Klar, il “Mago Merlino” dei bassisti e di Russell Kunkel, il “Tenente Kojak” dei batteristi, entrambi presenti in punta di piedi, intenti a lasciare la scena all’amica Judith ma è stato sufficiente che muovessero un po’ i polsi e chiudessero gli occhi nei passaggi più evocativi per distribuire emozioni in musica, molto bravo anche Pedro Segundo, percussionista portoghese, che ha coperto degnamente il posto di un altro mostro sacro presente nel disco, ovvero Lenny Castro.
C’è stato spazio anche per una soffusa e cinguettante Blackbird di beatlesiana provenienza, e di una meravigliosa Hey Mister That’s Me Up On The Juke Box, dal repertorio di James Taylor, che ci ha ricordato la Owen essere stata scelta per il disco da Kunkel e che accomuna i periodi di depressione di JT e della stessa Judith. Conclusione con brano tradizionale Gallese che ha riportato tutto e tutti a casa.
Delle canzoni originali diremo, per la serata non possiamo che affermare che è stata grande musica e alla fine abbiamo, ancora una volta, potuto apprezzare che i grandi sono grandi anche giù dal palco, poiché Leland e Russ si sono resi disponibili per ogni genere di foto con il pubblico che è ritornato a casa soddisfatto e consapevole di aver assistito ad un pezzo di grande storia della musica in quel di Milano.
Fotografie di: Federico Sponza