Garbo La moda
2012 - Discipline/Venus
Non mancano squarci ambiguamente romantici, come nel caso del piano dell’intro di Sparare, che poi sfocia in un asciutto mugghiare di chitarre ed inneggia all’eutanasia di un amore, nell’impossibilità di un cambiamento; nel complesso comunque l’album si muove soprattutto tra kraut-rock, ritmiche post-punk ed alternative inglese, in cui sembrano affondare le chitarre di Gira in continuazione 03, manifesto inquieto/dichiarazione di “guerra senza quartiere”.
La moda obliqua di Garbo, come recita il titolo completo del disco, è pertanto una seduzione raffinata e oscura di synths e chitarre magmatiche, di dettagli ingranditi dal lievito di fantasie smisurate degne solo di un dio (v. i versi di Sexy o di Movimento notturno, in duetto con Sarah Stride, al secolo Sarah Demagistri); è un flusso denso di suoni sporchi, che improvvisamente possono ripulirsi in uno squarcio jazzato (Errori con i cori di Luca Urbani, coproduttore del lavoro e socio di Discipline). E’ uno specchio di contraddizioni esibite, di ineliminabili dualismi, di ironia ed abbandono alle passioni, di una sincerità disinibita e di una maestosa, lirica, palpitante corporalità (v. Metà cielo con cori di Sarah Stride e una sinfonia di synths suonati da Garbo, Urbani e Alberto Styloo, coautore della musica e altro compagno di Discipline).
D’altronde si fa poesia e musica sperimentale anche la fisicità dell’architettura di Massimo Iosa Ghini, autore del ritratto a matita della doppia copertina dell’album, nell’impalpabile Architettura MIG, con testo e recitato di Elisabetta Fadini e i sintetizzatori siderali di Styloo a descrivere il “cielo” che “s’apre” o respiri che crescono come “terra nascente”, in una fusione degli elementi, dei materiali e delle sensazioni nelle possibilità sconfinate dell’uomo, in un “romanzo poesie di angoli e volte”.
La moda di Garbo insegna “come riempire questa terra di bellezza” (Architettura MIG), con forme musicali estetizzanti, che sfidano le mode in un’eleganza superiore che stilizza il pop e ammanta il rock, e con il fascino inconfondibile di una voce che affiora da abissi di fitte ombre sensuali. La musica di Renato Abate ha un'allure inimitabile, che non dimentica la lezione degli ‘80’s di cui ha saputo seguire o anticipare tendenze e suoni, ma appare senza tempo e oltre un tempo. Lo scavalca infatti e non sfila, ma pulsa e corre, rincorrendo nuove oblique alchimie sonore. E non può pertanto passare di moda.