Devendra Banhart Nino rojo
2004 - XL / YOUNG GOD RECORDS
Per coincidenza e per fortuna, la sua è una via acustica, che in parecchi stanno tornando a seguire negli ultimi anni, ma Banhart, lo dimostra anche con questo disco, la percorre più per intuizione che per scelta: lui suona come si faceva verso la fine degli anni ’60 e come oggi quasi più nessuno fa. Basta pensare che in pochi mesi ha pubblicato due dischi, mossi dallo stesso flusso d’ispirazione e a cui manca solo l’edizione in vinile per essere davvero sixties.
Dunque la novità di questo “Nino Rojo” è che Devendra Banhart si conferma senza fare nulla di nuovo: semplicemente ha pubblicato un altro disco di canzoni, released come dicono gli inglesi, cioè le ha fatte uscire, le ha liberate.
Ad aumentare questa impressione di spontaneità, c’è poi il modo in cui i brani sono registrati e prodotti: ogni particolare, da un colpo di tosse ad un fruscio onnipresente, dalla voce che si scalda prima di un brano al suono della chitarra acustica, tutto comunica una dimensione live immediata.
I pezzi acquistano fascino attraverso un’interpretazione imperfetta, che se ne frega di arrivare ad una take curata: alcuni brani sono dei piccoli bozzetti, altri partono subito col ritornello o rimangono a livello di intuizione, ma in ogni caso Devendra dimostra di essere un autore e un interprete con in testa parecchi pezzi di musica, tutti suoi.
L’abilità, o il trucco se volete, di questo ragazzo è ormai noto e lui non lo nasconde (come potrebbe?), anzi, lo insinua e lo dichiara in ogni traccia, fino a cantarlo in un verso di “Little yellow spider”: “You move so psychedalicalmly …”, il modo con cui l’avverbio viene sottolineato dalla voce lascia intendere la coscienza e la volontà di adottare un suono che è contemporaneamente elementare e psichedelico.
Quello di Banhart è un salmodiare estasiato, che può sfociare in piccole moti gioiosi o raccogliersi in riflessioni idilliache: se ancora non lo conoscete, immaginatevi un monaco senza chiesa, un giovane chierico convertito a cantautore che va a cantare al mondo la sua fede, libera come le nuvole.
Lui arpeggia e lascia vibrare le corde della chitarra come fosse un hippie, ma dentro ha qualità innate che non hanno bisogno di essere educate o incanalate: le canzoni più convincenti sono infatti quelle che rimangono tremule, vacillanti, come “Noah”, “Be kind” o il gospel stonato della conclusiva “Electric heart”.
Personalmente trovo che la musica di Devendra Banhart comunichi la stessa energia positiva e rilassante di una canna tra amici.