Cristiano Godano Mi ero perso il cuore
2020 - Ala Bianca Group
#Cristiano Godano#Italiana#Canzone d`autore #Marlene Kuntz #Anni 90 #Consorzio Suonatori Indipendenti #Ustmamò
L’esordio in solitaria del chitarrista/cantante dei trentennali Marlene Kuntz, fra i vertici degli anni Novanta italiani, s’allontana dagli scintillanti e pungenti intarsi di chitarre caratteristici del gruppo; né presenta quella tensione ritmica e Catartica alla base delle deflagrazioni elettriche dei cuneesi. Più Nick Cave e meno Sonic Youth, per citare due delle dichiarate influenze di Godano? Direi più Neil Young e niente Sonic Youth, con reminiscenze del Dylan intimista e dell’ultimo Cohen. Le ampie e fresche sonorità guardano alla tradizione Americana, dove le chitarre acustiche dettano legge e reggono da sole l’impianto delle canzoni, echeggianti maestose ma vicine come se ci trovassimo di fianco ai musicisti intenti a suonarle. Merito dell’ariosa produzione artistica condivisa da Cristiano con Luca A. Rossi (ex Ustmamò) e Gianni Maroccolo (co-fondatore di Litfiba e C.S.I., sodale del cantante fin dagli esordi dei Marlene). I due l’accompagnano anche agli strumenti con Simone Filippi, altro reduce dalla mia troppo celebrata esperienza Ust. All’amato Nick Cave rimandano certe atmosfere eleganti e rarefatte, scarne e quasi sospese, nonché quell’umana vulnerabilità tesa a cantare i demoni della mente senza celarli né celebrarli, perché emanazione diretta delle proprie paure contro cui combattere senza tregua, consapevoli che la battaglia stessa è alito di vita. Depressione annichilente e braccanti insicurezze, incostanti amicizie e amori errabondi, solitudine strisciante e ataviche paure, cantate con un coraggio nel mettersi a nudo raramente espresso in Italia. Nulla, a parte l’imprinting vocale, pare ricondurre direttamente ai Kuntz, se non in alcuni episodi (Ti voglio dire, Lamento del depresso, Panico con Enrico Gabrielli al sax).
Uno dei pregi di Mi ero perso il cuore è rappresentato dalle liriche, da sempre fiore all’occhiello dell’autore, capace d’incastonare in modo peculiare la lingua italiana più aulica nel complesso tessuto di sonorità per definizione lontane da essa: poetiche, colte ma al contempo comunicative ed evocative (che in Dietro le parole, dove torna Gabrielli, si fanno pure metalinguaggio). Un po’ com’era accaduto in seno al complesso fino a Bianco sporco (2005), prima che il mirabile lavoro testuale di Godano propendesse più verso una sfaccettata musicalità lessicale, ricca di molteplici livelli narrativi e interpretativi, che in direzione d’un significato emozionale empatico e condiviso. Qui, invece, d’empatia e condivisione ce ne sono a iosa.
A cominciare dall’apertura affidata a La mia vincita, sorta di paradigma dell’opera, musicalmente e liricamente. In Sei sempre qui con me è l’ossimoro dell’assordante presenza nell’assenza a struggere il protagonista, appena lenita da un elegante arrangiamento ritmico che fa da cornice a imperituri momenti di vita e da una slide che suona come contrappunto alle aperture melodiche. Com’è possibile è un momento d’assoluta novità per il musicista piemontese, un classico brano country (che tornerà a far capolino in Ma il cuore batte) dal ritornello suadente; Bob Dylan e Immanuel Kant convivono coerentemente in un testo che, senza ricorrere a slogan propagandistici, risulta politico e attuale. Ciò che sarò io ha un incedere rallentato, come se volesse trattenere a sé la donna che fugge nella canzone, mentre Cristiano si apre a un corposo falsetto, sfumatura vocale centellinata nei Marlene Kuntz ma assolutamente vincente. L’assolo di Luca Rossi ha il tocco delle cose belle, come un Joe Walsh pacificato. Ho bisogno di te è idealmente il seguito della precedente, con due voci femminili (Valentina Santini e Alice Frigerio) a duettare col cantante – che qui ha preferito tenere la take vocale del provino, senza rifare la voce in studio – e il pianoforte di Vittorio Cosma, per il pezzo più etereo del lotto. La doppietta Padre e figlio, dall’arpeggio meraviglioso, e Figlio e padre sonda con ferma delicatezza un rapporto già toccato dagli ultimi Marlene. Nella natura è la composizione più atipica della raccolta e, forse, del canzoniere di Cristiano e meriterebbe un prosieguo, densa com’è di sonorità apparentemente leggere ma, invero, assai suggestive. Sembra un bozzetto dai colori pastello tradotto in musica. La versione in vinile di Mi ero perso il cuore ha un brano in più, Per sempre mi avrai, vicino a certe composizioni tirate e acustiche di Eddie Vedder ma reso tipico dalla vocalità di Godano e da un testo che rimanda ai Kuntz più classici.
Un album pregno di vitale consapevolezza, necessario e consolante, le cui coordinate musicali sono ben tracciate: ballate acustiche sulla scia dei maestri del genere, calde e con pochi sussulti elettrici, solcate da venature ritmiche dal sapore di frontiera tanto care a Calexico e Jayhawks, per una proposta alquanto inedita nel cantautorato italiano.