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Cristiano Godano Presentazione del primo disco da solista, Mi ero perso il cuore
Cristiano Godano ha presentato ieri in conferenza stampa il suo primo album da solista, in cui mostra "il coraggio della paura" e la bellezza di spogliarsi di ogni aura "mitica" per condividere le proprie fragilità, in canzoni che parlano di "bestie" come la depressione e i pericoli che incombono sul pianeta. Vi raccontiamo tutto in questo articolo.
Dopo oltre trent’anni da frontman dei Marlene Kuntz, Cristiano Godano pubblica oggi, 26 giugno, il suo primo album da solista, Mi ero perso il cuore (Ala Bianca Group / Warner Music), che sarà disponibile in digitale, in CD e doppio vinile da collezione 180 grammi. L’artista ha presentato ieri, 25 giugno, il suo disco in anteprima in videoconferenza, spiegandone innanzitutto la genesi: ha aspettato infatti il momento giusto per dedicarsi a questo album, per evitare che interferisse con i Marlene Kuntz, che resta il suo progetto musicale principale (“amo la creatura Marlene Kuntz: sono nato musicalmente con Riccardo Tesio] e Luca [Bergia]”, ha affermato). Sette-otto anni fa aveva cominciato a proporsi al pubblico anche in situazioni “solitarie”, in cui rispondeva alle domande di un interlocutore con cui dialogava e alternava le parole all’esecuzione di alcune canzoni live: pian piano, dopo aver trovato sonorità e modalità interpretative adatte al contesto, questa dimensione acustica l’ha conquistato, ma si è reso conto che non poteva continuare a suonare i pezzi dei Marlene Kuntz e servivano dei pezzi individuali per proseguire questo percorso. La notizia del disco solista aveva seminato panico tra i fan, ma non c’è nessuna intenzione da parte del frontman di mettere da parte la band, o rinnegarla. Due brani, Ti voglio dire e Lamento del depresso, erano stati condivisi in precedenza anche con i Marlene, che, prima che iniziassero i lavori per questo disco, avevano iniziato “una sessione di creatività”, che poi avevano abbandonato, per lasciar passare un po’ di tempo: “Quello che vorrebbero fare i Marlene con il prossimo disco sarebbe provare a far una sorta di reset con sé stessi: non ci riusciranno mai, perché è da geni riuscire a dimenticarsi di sé, ma comunque vorremmo allontanarci il più possibile da quanto fatto finora”. Cristiano allora si è ripreso quei due pezzi, perché andavano in un’altra direzione: “Ti voglio dire, così come la si ascolta adesso, con i Marlene non sarebbe mai venuta: sarebbe stato un pezzo intenso, delicato, ma non così preciso come speravo nei miei sogni”.Nelle storie di questo album non manca una pluralità di punti di vista (uomo/donna, amici, padre/figlio, ecc.), ricollegabile al concetto di empatia: “Mi piace molto l’idea di provare a entrare nella testa dell’altro”, afferma Cristiano. D’altra parte uno dei complimenti che più frequentemente gli hanno rivolto i suoi fan è che si riconoscevano nei suoi testi. Come riesce a dare voce e vita a personaggi diversi? Godano ipotizza che ad aiutarlo in questo senso sia la consapevolezza, di cui ha parlato anche nel libro Nuotando nell’aria: “Insisto molto sul valore della consapevolezza, perché è qualcosa che ho capito molto in fretta nel mio percorso che era importante. Fin dall’inizio mi sono ritrovato a dover rispondere a un’affermazione impegnativa: mi si dava del poeta. Dopo i primi due dischi, noi avevamo un dialogo serrato con il nostro pubblico, ci mandavano delle lettere cartacee e tutti mi davano del poeta; così ho capito che c’era qualcosa di molto importante, un senso di responsabilità, non potevo ringraziare e basta. Fin da subito allora ho cercato di capire perché mi definivano così e di comprendere quali sono i meccanismi della poesia, i tratti che accomunano la poesia al testo di canzone, trasformando poi tutto ciò in una lezione che propongo ogni anno in Cattolica in un master, e questo mi ha permesso di acquisire consapevolezza. Quando scrivo una canzone, c’è un’esperienza che fa sì che io riesca a dominare quello che faccio, come fanno gli scrittori ovviamente. Non è che tutto arriva per trasfigurazione, o per un dono divino: l’ispirazione esiste, ma va lavorata”.
L’album è presentato come un disco attuale che “ha il coraggio della paura e esibisce questa poetica vulnerabilità”: Godano ha spiegato infatti che ci vuole un po’ di coraggio a mettere in pubblico la parte vulnerabile di se stesso: “è un coraggio molto connesso al ruolo che io rappresento, perché in ogni caso io sono il cantante, il frontman di una band, che ha un pubblico, molto affezionato, e so molto bene come i frontman alimentino un immaginario fatto di ‘mitizzazione’: il cantante viene posto su qualche tipo di piedistallo. Poi si fa anche di tutto a un certo punto per cercare di buttarlo già dal piedistallo”. Il cantante è diventato appunto anche molto consapevole di queste dinamiche; sa che per molti artisti non è particolarmente conveniente addentrarsi nel territorio della confessione, perché c’è “la possibilità di avere il timore di contribuire a togliere la componente mitica alla propria figura”, per cui molti preferiscono mostrarsi sempre positivi e coraggiosi. Però, aggiunge Cristiano, ci sono esempi di cantanti, molto vicini al suo sentire, che non si sono mai tirati indietro quando dovevano affrontare tematiche problematiche (ha citato in tal senso Bob Dylan, Neil Young e Nick Cave): quando hanno voluto parlare in maniera molto intimistica e riflessiva di loro stessi, dal punto di vista della vulnerabilità, lo hanno fatto. Il percorso di un artista può prevedere anche periodi altalenanti, non solo momenti “up” e per Godano “anche le debolezze di un artista hanno un loro incredibile fascino e il pubblico che le sa intercettare ha la possibilità di empatizzare e di avere una visione molto più approfondita dell’artista, aprendo un libretto, leggendolo, ecc.”. Di Dylan e Young non ha ancora avuto modo di ascoltare i nuovi album, ma Godano ha affermato: “Sono curiosissimo: di Dylan so che ha fatto un capolavoro, se ne parla in maniera stupefatta. Neil Young arriva da un periodo estremamente ispirato e non vedo l’ora di ascoltarlo, ovviamente”.
Ne La mia vincita troviamo i versi che danno il titolo all’album (“mi ero perso il cuore in fondo a un'infinità di ingannevoli messaggi e maschere”), in una canzone che appare molto autobiografica, poiché parla anche appunto di vincita e rinascita. Cristiano parla ancora di “dedali e prigioni” e canta: “Dai burroni si può tornare su / se non ti sei massacrato laggiù / se non hai seguito l'ambiguità / di quelle maschere”. Le maschere e le ambiguità a cui fa riferimento potrebbero sembrare allora anche quelle del mondo dello spettacolo, poiché a volte c’è appunto il rischio di rimanere intrappolati nel personaggio, incastrati in un ruolo, nella maschera di un certo tipo di artista e appunto perdere il cuore, con la necessità di trovare un contatto più profondo con la propria interiorità. In questo album invece, di contro, c’è la volontà di mettersi a nudo (in Sei sempre qui con me l’artista canta d’altra parte “s'intuisce la vulnerabilità / di un egocentrico all'angolo, / smascherato e fragile”) e “vulnerabilità” e “fragilità” sembrano proprio le parole chiave di questo disco. Interrogato da me proprio a proposito di questa interpretazione delle maschere citate nella canzone, Cristiano ha risposto: “è una visione affascinante che non mi permetto di negare, perché potrebbe essere un ottimo risvolto, mi piace pensarlo…è una specie di possibile estensione delle considerazioni di quei versi”. Questa interpretazione, però, è connessa alla dimensione artistica: Godano invece qui ha definito “maschere” “le menzogne della mente, quando con i suoi soprusi pervade chi la subisce e rimane intrappolato e ossessionato”. Quando si soccombe alla mente e ci si fa invadere da pensieri ossessivi, questi ultimi si presentano attraverso varie sfaccettature, ad esempio appunto con delle maschere. Rispondendo a un’altra domanda, Cristiano è tornato sull’arte come menzogna: “La sincerità non è vitale per me. Pessoa diceva che il poeta è un fingitore: l’arte è menzogna, è artificio. Lo scrittore non sempre e necessariamente deve essere sincero: mente spesso. La letteratura è menzogna. Però questo disco desidera essere non troppo lontano dalla sincerità: è un disco molto sincero”. In uno dei pezzi del disco, Dietro le parole, si fa riferimento d’altronde proprio al mostrarsi come si è veramente, messa da parte ogni idealizzazione e l’aura de “l’autorevole pathos che tanto ti rapisce”.
Quanto agli arrangiamenti, Godano ha parlato molto con Gianni Maroccolo e Luca A. Rossi (Üstmamò), con cui ha prodotto il disco, per far capire loro cosa si aspettasse da queste canzoni, che aveva portato loro voce e chitarra, “nude e crude”; aveva spiegato loro quale fosse il suo mondo musicale di riferimento, quello che avrebbe “adorato sentire, sia dal punto di vista del suono che dal punto di vista degli arrangiamenti”. “Addirittura, parlando con Gianni, lui spingeva quasi più di me ad andare nella direzione dell’essenzialità”, perché “sa molto bene che queste canzoni stanno in piedi anche da sole, quindi non avevano bisogno di arrangiamenti fastosi, di sessioni d’archi, ecc.”: “questo è un disco che si potrebbe anche pensare arrangiato in un altro modo: penso a certi dischi con forte componenti orchestrali, che amo”, ma vi era un “chiaro intento fin dall’inizio di mantenere quest’intimità del songwriting originario”. Poi di lì in avanti hanno semplicemente suonato insieme in studio, lui, Gianni Maroccolo, Luca A. Rossi e Simone Filippi, ancora degli Üstmamò; a colorare di sfumature evocative, spesso morbide e delicate, le canzoni di disco, oltre ai tre musicisti e produttori, vi sono infatti la batteria e le percussioni di Simone, così come il pianoforte di Vittorio Cosma, e flauto, clarinetto, melodica, sax e violino di Enrico Gabrielli, in storie intime che si dipanano come in episodi e prospettive differenti. Anche per quanto concerne Gabrielli e Cosma, le idee dei loro interventi sono pure maturate insieme; gli arrangiamenti sono in definitiva “l’esito di un lavoro comunitario”, anche se non sono mancate richieste specifiche: per quanto riguarda il sax di Panico, Godano ha chiesto a Enrico Gabrielli proprio il noise del free-jazz, perché immaginava quasi un rumore bianco, e ha fatto un grande lavoro. A proposito degli inserti di fiati nel disco, Cristiano ha ricordato anche che quelli che usarono a Sanremo erano molto più roboanti, con una tromba squillante con una forte impronta melodica: poiché tutti a Sanremo usano l’orchestra per la sezione d’archi, parlando con Gianni Maroccolo, in modo un po’ curioso e da bastian contrari scelsero invece di puntare su dei fiati, un po’ alla Janis Joplin. Oggi pensa che non funzionarono molto, però; i fiati di Enrico Gabrielli in questo disco, invece, sono “più ineffabili”: “il flauto e il clarino sono strumenti più contenuti”; il secondo, in particolare, ha un timbro quasi giocoso: “Mi sembra quasi di intravedere uno gnomo che si muove nei luoghi della natura che racconto nel testo”, afferma il cantautore, facendo riferimento al pezzo Nella natura. I flauti di Figlio e padre, a suo dire, creano invece i presupposti per una dimensione quasi spirituale.
Cristiano sperava a tutti i costi di trovarsi in un’atmosfera diversa con questi musicisti: “Se avessi avuto la sensazione di star facendo delle cose simil-Marlene, avrei rimpianto di non essere con loro, a quel punto. Desideravo di fare un disco che impedisse alla gente di dire: ‘Beh, poteva farlo con i Marlene, visto che è una roba che sa di Marlene’”. Ha suonato però con persone che conosce: nel caso di Maroccolo, ha ricordato che lo conosce da più di 25 anni, ha fatto dei tour con i Marlene, ecc. per cui con lui si sente a casa. Gli Ustmamò sono musicisti con cui ha condiviso la scena degli anni ’90: non aveva mai suonato con Luca e Simone, ma la curiosità era tantissima. “La loro disponibilità e l’acume della loro sensibilità musicale mi hanno messo a mio agio fin dalle prime battute: appena abbiamo cominciato a suonare, sapevo che il disco sarebbe andato nella direzione giusta”. Alcuni pezzi, a suo giudizio, comunque sono caratterizzati da una “fortissima intensità” e non dovrebbero scontentare nemmeno i fan più brontoloni dei Marlene Kuntz, poiché mantengono quel pathos che è una delle cifre stilistiche della band, sia nei testi, che nella musica, il cui mood è rimasto quello nel tempo, tranne in qualche pezzo in cui il gruppo voleva essere dichiaratamente “meno greve”.
In due-tre pezzi del disco da solista di Godano si sente invece un’anima country, per quanto non sia ovviamente “quello con il cappello da cowboy del bovaro americano e della tradizione filologica”: “qui qualcuno potrebbe storcere la bocca, ma il mio consiglio è ‘dimenticatevi del cliché Godano-Marlene e provate ad ascoltare buona musica’ ”. Non si è comunque mai molto preoccupato delle reazioni del pubblico, perché pensa che la maggior parte delle persone che seguono la band si aspettano ormai che cerchino di cambiare, se si escludono dei “contestatori”, che hanno cominciato ad accumulare dal quarto disco in poi e affermano che il gruppo non sia più quello di una volta. Era proprio quella quindi la direzione in cui voleva andare con le canzoni country dell’album, non per una “smania provocatrice”, ma perché voleva mettere a fuoco aspetti della sua natura musicale che non erano del tutto a fuoco nella band per “ragioni di tipo puramente democratico”: “i Marlene Kuntz vivono il sentimento dello spirito democratico con totale adesione: nessuno di noi prevarica sull’altro. È una cosa che proprio non mi piacerebbe fare e la forza dei Marlene Kuntz è proprio quella di fare musica che è l’esito di tre teste, più di chi collabora con noi, in una sinergia”.
Quanto ai testi, secondo Cristiano sono uno dei motivi per cui i Marlene non sono pop: “non lo dico con il sussiego di chi è elitario: io vorrei che i nostri pezzi fossero graditi dal mondo intero, ma mi rendo conto che i miei testi vanno letti se li si vuole comprendere a fondo nel loro intento artistico. Io gioco e ammicco con le parole, faccio dei riferimenti intertestuali o metaletterari, che solo nella lettura si possono intercettare”. Questi testi sono “più immediati, ma se li si legge, appagano di più: ci vuole una certa disponibilità e pazienza”, che potrebbe essere ripagata, rispetto alla velocità della hit pop che arriva subito, ma dura due mesi e poi sparisce.
Il 2 luglio intanto Cristiano Godano tornerà dal vivo, esibendosi in una città simbolo dell’epidemia, Bergamo, che ha tanta voglia di normalità e di ritornare alla musica: farà infatti un mini live con i pezzi più rappresentativi del disco nel cortile della Galleria D'Arte Moderna e Contemporanea, approfondendo il nuovo album e temi di attualità con Nicola Ricciardi, direttore artistico delle OGR di Torino (ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria; l’evento verrà trasmesso in streaming sul canale YouTube della GAMeC). L’artista ha affermato che immagina sarà emozionante tornare finalmente su un palco, dopo tre mesi in cui si è soltanto “avuto modo di confabulare” tra i musicisti “con il sentimento della paura” sulle prospettive per il futuro: è stato drammatico non sapere quando si sarebbe tornati a suonare. L’emozione sarà decuplicata dall’essere a Bergamo, che “davvero nell’immaginario di molti italiani è diventata una città martire”. Godano si era già esibito nei mesi scorsi in una diretta per Radio GAMeC. Il disco non è stato scritto comunque durante la pandemia: il progetto è iniziato “nella testa” del suo autore tre anni fa, poi è stato definitivamente scritto in un arco temporale che va da due anni fa a un anno e mezzo fa, è stato registrato, arrangiato ecc., per cui proviene da un periodo differente; alcune inquietudini del disco oggi risultano molto attuali, ma sono figlie di ciò che l’artista percepiva da alcuni anni. Non prevedeva di certo l’epidemia, ma si era accorto che da alcuni anni il mondo stava andando “in una brutta direzione”: “quel sentimento, che mi ha indirizzato verso questo racconto della paura e della vulnerabilità, era già presente. Quello che sta accadendo ora per esempio in America, con il bruttissimo episodio di Floyd, non mi stupisce, perché ho l’impressione che il mondo stia rischiando un sacco di turbolenze, di frustrazioni sociali” per tanti motivi. Ha voluto quindi pubblicare adesso questo album, perché l’ha sentito molto connesso con il senso attuale di fragilità: Cristiano ha ricordato allora che c’è chi non vede l’ora che tutto riparta e si possa tornare in spiaggia, ma che altri hanno uno strascico di paura, perché la situazione è molto difficile da gestire e non si sa cosa succederà a settembre o a ottobre. Per questo tipo di persone “questo disco potrebbe avere una forza empatica di consolazione e condivisione”: gli è sembrato allora un bel gesto, almeno nei riguardi del suo pubblico, far uscire ora l’album, per “sentirsi tutti più vicini”.
A proposito della situazione americana, oggi approda in radio Com’è possibile, il nuovo singolo estratto dall’album, un brano che “mette l’umanità sul banco degli imputati”, citando Bob Dylan “La risposta è lassù / e soffia nell'aria / Quante strade dovrà / di nuovo percorrere / un uomo?”. La canzone dylaniana secondo Godano appunto non dà risposte, ma solleva questioni che restano irrisolte. Il video del singolo, diretto da Lorenzo Letizia, girato al Sonus Factory di Roma, presenta “immagini di sommosse e catastrofi naturali, per delineare “la bestia” che abita l’uomo, chiudendosi con un riferimento alle recenti proteste in nome di George Floyd ("I can't breathe") che diventa paradigmatico di una convivenza sempre più complicata dell'uomo con il pianeta terra”, si legge nel comunicato stampa. Cristiano ha aggiunto nella conferenza stampa che il razzismo oggi non è più da sottovalutare: bisogna rendersi conto che sta tornando. Come è possibile? Come si è potuti tornare a questo? È questo che si chiede nella canzone e si domanda inoltre “come è possibile che la classe politica mondiale non voglia prendere atto che gli scienziati ci stanno dicendo che siamo molto vicini alla deadline” per salvare il pianeta. Godano si è detto molto in sintonia con Greta Thunberg: “mi dispiace molto che venga attaccata: indica la luna e molti guardano il dito”. Il tema a cui fa riferimento è il riscaldamento globale, ovviamente, non riconosciuto dalle “aberrazioni della politica”: “io non ho molto in simpatia la deriva del sovranismo: la temo moltissimo, perché porta alle divisioni”, di cui non ci sarebbe bisogno, perché portano “tensioni”. “Fascismi, nazismi e le guerre di un certo tipo sono nate proprio perché i paesi erano divisi”, ha affermato ancora il cantautore: “tutto ciò è raccontato in Com’è possibile in maniera del tutto non esplicativa, ma ampiamente suggestiva”. In una carrellata di immagini, nel video, si vede proprio ciò a cui l’autore allude: “c’è un ghiacciaio che si scioglie, ci sono delle proteste di piazza, c’è la visione dall’alto di una città siriana, completamente devastata dai bombardamenti, ecc.”.
Per quanto riguarda invece il primo singolo, quando si decise di pubblicare il disco a giugno e la scelta ricadde su Ti voglio dire come primo estratto dal lavoro, non c’era ancora un video; Cristiano allora era persino disposto a diffondere il pezzo solo con un fermo-immagine su Youtube, ma poi aveva avuto un’idea: “ero a Roma in quel periodo e ho trovato delle persone magnifiche, Lorenzo Letizia e alcuni suoi collaboratori, Fabrizio Arcuri, regista di teatro, ecc. che mi hanno aiutato a creare i presupposti per un video fatto di corsa, considerati i tempi a disposizione. Io ho lanciato la mia suggestione: volevo due amici che interagissero, uno dovevo essere io, l’altro un attore, – visto che ero a Roma e potevo sperare di trovarne uno – che interpretasse il protagonista, un uomo depresso che ha bisogno di aiuto”. Sono riusciti poi a trovare l’attore protagonista, Gabriel Montesi e pian piano sono arrivati a immaginare un video in bianco e nero; il fatto che Godano fosse dietro il personaggio per parlargli e guidarlo si sono poi resi conto un po’ a posteriori che poteva ricordare il personaggio dell’angelo de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, grazie anche alla suggestione del bianco e nero.
L’impatto con il disco introduce subito nell’abbraccio accogliente di sonorità più intime, placide e acustiche, dalla genuinità ed essenzialità analogica piuttosto folk (anzi, palesemente country appunto in un paio di pezzi), mentre i testi conducono un’auto-narrazione piuttosto semplice e piana, in un cantato che spesso appare pacato e dolce. È quasi sottovoce, nel calore di una chiacchierata e suonata per pochi amici, che Godano racconta distanze, solitudini, contrasti familiari e presenze degli assenti, da ritrovare nello specchio e dentro di sé, mentre l’amicizia, se vera come Ti voglio dire, può diventare un riconoscere le comuni fragilità, tra demoni, mostri e uragani da combattere quando il buio sembra poter inghiottire e cancellare ogni luce. La bestia con cui si lotta è la depressione, da cui invece gli “amici” più pavidi, vili e ignobili scappano (in un’atroce mancanza di umanità, che probabilmente tutti purtroppo abbiamo sperimentato talvolta nella vita); si parla di panico e nevrosi, ma non mancano, come si diceva, anche pericoli esterni che sembrano incombere sull’uomo e sul pianeta come una tempesta (tra “pessime derive politiche, ribellioni sociali e deturpazioni irreparabili della natura e del clima”, afferma Godano). Qui e lì risorgono sonorità rock quasi ringhianti, che piaceranno ai fan storici dei MK, ma appaiono un fondo inquieto e magmatico che si muove ed emerge tra arpeggi malinconici e riff cupi, o sono un tappeto sonoro teso per uno spoken nervoso. In generale si ha l’impressione di muoversi in un microcosmo così privato e personale da farti chiedere se il nodo in gola che senti è solo per le emozioni che attraversano i brani e permeano l’ascoltatore, o anche perché si entra nelle pieghe di confessioni che ti sono affidate senza la certezza di essere degno/a di custodirle. Anche l’abbandono amoroso è cantato senza filtri, a bassa voce, da parte di un uomo “rannicchiato e apatico” nella desolazione di una stanza che si svuota. Non vi resta che ascoltare Mi ero perso il cuore.
Dopo il 2 luglio, ci sono anche altri appuntamenti programmati per luglio in cui rivedere Godano: egli presenterà il suo libro Nuotando nell'aria il 16 luglio al Circolo dei Lettori di Novara e il 18 luglio al Festival Auronzo Aperta di Auronzo di Cadore (BL). Il 26 luglio sarà invece ospite della Villa Campolieto di Napoli, all'interno del Festival delle Ville Vesuviane, con il poeta Davide Rondoni per uno spettacolo fra musica e poesia.
Biografia sintetica
Cristiano Godano, artista poliedrico, è cantante, chitarrista, autore, attore e scrittore. Oltre a essere il cantante dei Marlene Kuntz, band che ha segnato la storia della musica italiana in 30 anni di carriera, è l’autore di tutti i testi (oltre 130) della band. Nel 2008 ha esordito come scrittore, con i sei racconti de I vivi (Rizzoli), dai quali ha tratto un reading che ha portato in tour in tutta Italia, nel 2019 ha pubblicato il racconto biografico in prima persona Nuotando nell’aria. Dietro 35 canzoni dei Marlene Kuntz (La Nave di Teseo). È docente all’Università Cattolica di Milano e tiene lezioni e workshop in ambito musicale e poetico.
Si ringraziano Marta Falcon per Parole e Dintorni e Cristiano Godano.
Link:
https://www.facebook.com/cristianogodanoofficial/
http://marlenekuntz.com/cristiano-godano/
https://paroleedintorni.it/
Le prime tre foto sono tratte dalla videoconferenza, mentre le altre sono di Guido Harari.