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Charlie Musselwhite Delta hardware
2006 - Real world
Diverso dal precedente, ma altrettanto valido, “Delta hardware” è un lavoro più ruvido, in un certo senso anche più duro.
Già la copertina è un segnale chiaro: l’immagine di quel vecchio edificio indica molto di più di una rivendita di pezzi d’auto, è un cartello posto all’inizio di una strada che punta a sud, verso il Delta del Mississippi. Non a caso il booklet prosegue nella stessa direzione: dopo essere passati per Possumneck, dove i Musselwhite si erano insediati ai tempi dei pionieri, si sfiora la capanna in cui viveva Muddy Waters e si giunge ai limiti di Kosciusko, cittadina che ha dato i natali all’autore.
Le canzoni procedono in modo altrettanto esplicito: “Church is out” è un brano rock, secco come ce ne sono stati pochi in questo 2006. Non ci poteva essere miglior apripista per far capire che qua non si fanno sconti: quando l’armonica e la ritmica vanno all’assalto di “One of these mornings” e le chitarre sferragliano su “Sundown”, si stà già avanzando sul sentiero polveroso partito dal retro dell’edificio.
Quello di Musselwhite è un viaggio che si addentra in un territorio ostico: con lui ci sono Chris "Kid" Andersen (chitarre), Randy Bermudes (basso), June Core (batteria, percussioni) e a far da guida un maestro come Little Walter di cui vengono rivisitati due pezzi strada facendo.
Non ci sono fronzoli neanche quando compare un minimo loop di basso: il parlato di Musselwhite è voce di un uomo e di un musicista che dice solo ciò che da dire senza retorica alcuna. Tra i pezzi migliori del disco ci sono i rimandi a New Orleans di “Black water” e “Invisible ones”, assai più profonde e intestine delle solite blues ballad, con l’armonica a rendere il tutto ancora più spiritato, e “Clarksdale boogie” con le chitarre aguzze e le voci che arrivano davvero da un juke joint.
Musselwhite e il suo combo non fanno nulla di nuovo, ma quando suonano hanno sulle mani i segni di chi ha faticato una vita intera. Con “Delta hardware” hanno messo in piedi una rivendita di pezzi blues originali del luogo e lavorati a mano, convinti che questi servano e durino più dei ricambi offerti dalla tecnologia moderna.
Ancora una volta tra i dischi blues dell’anno.