Bjork Volta
2007 - Atlantic
Forse saremo noi che ci siamo “abituati” alla sua musica o forse sarà lei che continua a spremerla nel tentativo di ottenerne per forza qualcosa di diverso, ma questo nuovo disco suona di già sentito, il che per Bjork equivale probabilmente ad una bestemmia.
È infatti impossibile non notare il ritorno ad alcune scelte del passato: l’elettronica, i beat ed alcuni break rimandano ai tempi di “Homogenic” e per di più compaiono ripetutamente citazioni di “Drawing restraint 9” che con quel richiamo navale creano un’atmosfera autoreferenziale.
Questo per ribadire che la musica di Bjork comincia a fare un effetto claustrofobico, a suonare arrovellata su sé stessa. Forse ci sarebbe bisogno di un disco più classico, meno ardito, che sviluppi la purezza della sua voce e ne metta in risalto l’aspetto fiabesco.
Non a caso le tracce più riuscite di “Volta” sono a nostro parere quelle in cui Bjork non si fa prendere da iperboli sonore e si concede al fascino della voce. Esemplare è “The dull flame of desire”, ispirata da una poesia di Fyodor Tyutchev e soprattutto in duetto con Antony: ne esce un pezzo sublime, pieno di charme, in cui le trovate di Bjork (una brass section e un finale inaspettatamente ritmico) svolgono il giusto ruolo di sorpresa. Senza lasciare l’ascoltatore in apnea.
Lo stesso risultato si sarebbe potuto raggiungere in “Hope” con la kora di Toumani Diabate schiacciata invece dai beat, in “My Juvenile” con un clavichord e ancora con Antony o in un paio di altri esercizi da camera moderna. Aggiungiamo anche “I see who you are” con i tratti asiatici di una pipà cinese a suggerire un fascino orientale che però scivola via tra suoni liquidi.
Per il resto il disco spinge ad oltranza su programming, drum kit, beat con una quantità enorme di additional engineering, processing, editing e quant’altro: non che questo sia fatto male, ma Bjork lo ha fatto meglio in passato. Ci riferiamo all’elettronica tribale di “Earth intruders”, al funk modernista di “Innocence” e alla durezza di “Declare Independence” in cui più si sente il ritorno di Mark Bell.
Forse la stessa Bjork ha intuito che la sua discografia avrebbe ora bisogno di una fase meno iperbolica, ma non ha ancora messo a fuoco la nuova auspicata via. E così torna a rompersi il capo per spiazzarci con ritmi e suoni futuristi.