RENATO FRANCHI & ORCHESTRINA DEL SUONATORE JONES “Oggi, mi meritavo il mare”
25/03/2019 - News di desa-comunicazioni
Si tratta di una viva realtà musicale italiana, nata negli anni 90 e che pubblica il suo primo album nel 2002; numerosi sono i componenti che ne dettano la vocazione musicale, nonché la tramatura dei testi, con uno spiccato senso poetico che percorre tutta la carriera di questa band, la quale deve il suo nome ad un brano di Fabrizio De Andrè. Questo se non altro è un prezioso indizio atto a collocare il genere musicale, che risulta essere più uno stile, e che comunque rimane sempre variegato perché aperto e accondiscendente verso una vasta gamma di richiami e modulazioni. Per non parlare poi, dell’attitudine stessa della band che, prendendo spunto dalla traduzione italiana- De Andrè ma non solo- riversa una riverenza pura ed essenziale non solo per l’arte musicale, ma anche per quella poetica.
AVREI VOLUTO in particolare, rappresenta bene quell’idea che letteralmente si vorrebbe “catturare”, tutto quel mondo di ideali che assumono poi la forma del desiderio: “Avrei voluto fermare la pioggia.... regalarti la bellezza del sole sulla spiaggia. ...”
Gesti “impossibili”, vere e proprie “gesta mitologiche” che hanno dell’incredibile, se non dell’impossibile, diventano fioriture cromatiche di un germoglio di sentimenti ed emozioni vissute da chi racconta con tanta fermezza e passione una vita frastagliata, ma dove tutto procede sempre poi diritto verso la scritta “Amore”.
Nel tentativo di mettere tutto a soqquadro per l’amore, mettendosi in azione rinvigoriti dall’entusiasmo stesso che l’amore risveglia in noi, ogni passo fa riferimento ad un condizionale (Avrei voluto) che- lungi dall’essere “l’irrealizzabile”- si lega ad un concetto espresso dallo stesso Eugenio Montale . Quest’ultimo nella poesia “Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale”, ci racconta di quanto il poeta rimpianga un mancato abbandono al mare, al pari di un ciottolo marino e quindi, con un forte richiamo al tema dell’inettitudine, si perviene a quello stato di inerzia esistenziale, dove l’osservazione continua della vita e il tentativo di comprenderla, diventa un ostacolo a viverla, ad afferrarla. Osservando il mare, l’uomo- poeta, non può abbandonarsi ad esso, quello che può fare, è coglierne l’essenza, il valore. Ecco allora come il brano si lega ad una traccia, la quale peraltro dà il titolo all’album, OGGI MI MERITAVO IL MARE; è come se il poeta, dopo tanto peregrinare, , dopo tanto navigare tra “queste onde” di cui però non si è ancora bagnato, decida che è giunto il momento di meritarsi tutta la bellezza che il mondo ci riserva. Il mare come meta di un orizzonte infinito, come significato fondativo della vita e della nostra esistenza, come pluralità di richiami e di movimenti, come istanti da cogliere e come attimi da conservare. Tutta l’essenzialità dell’esistenza e dei suoi significati sembra essere colta da questa frase. La tracklist dell’album, del resto, è una soave ballata folk, che ci fa intravedere i paesaggi incantati di una lontana Irlanda, dove le onde sonore ci travolgono e ci fanno sprofondare in terreni musicali di stampo progressive, che trascendono ogni squadratura sonora per arrivare ad echeggiare i mitici Procul Harum. Le onde lambiscono la spiaggia, diventano quelle occasioni da prendere ma che talvolta ci sfuggono, proponendoci un’inguaribile sfida con noi stessi e con la coscienza del nostro Io.
Uno sguardo al proprio vissuto invece, a quello che è stato, deriva dallo sfondo psichedelico dentro cui ci proietta SE MI GUARDI MI VEDI, uno sfondo da dove emerge a tratti la chitarra elettrica che sembra rispondere a malincuore, alla malinconia soggiacente le parole che scorrono come il tempo, veloci e senza tregua “Corrono i miei anni, vanno sotto gli occhi, ma semi guardi, mi vedi”: se ci prendiamo quel tempo per riflettere, per guardarci dentro, possiamo vedere e non solo guardare, possiamo capire. Viene quindi proposto all’ascoltatore una sorta di compromesso tra lo scrutare in modo pressoché esaustivo e totale la vita senza sguazzarci dentro, e tra quel distacco che ogni tanto ci serve per guardare da un’altra prospettiva le nostre scelte e in nostri movimenti e comprendere così “cose che soltanto il cuore può vedere”.
D’altronde questi sono proprio i TEMPI DEL CUORE, per citare un altro pezzo dell’album, che non ha una cadenza paragonabile agli altri aspetti della vita con cui ogni giorno abbiamo a che fare. Frenesia, automatismo, ripetizione…tutto questo è bandito se è l’Amore che ci troviamo a vivere : “...Non c’è timer in amore, disinnesca i meccanismi, che imprigionano il tuo cuore...” canta a squarciagola Renato nell’inciso del brano; un canto gioiosa alimentato da questa componente essenziale della sfera relazionale umana, capace di prendere tutto il tempo a nostra disposizione, una ritmica temporale che dovrebbe poi riversarsi nei piccoli gesti quotidiani, anziché essere assorbita essa da questi.
E in modo semplice come un fiore, può essere descritta l’Amore nella sua declinazione più naturale ma altresì più complessa perché difficilmente spiegabile e talvolta raggiungibile: l’amore per la vita. LA TUA ROSA ne è un inno solenne e delicato, un brano dove l’avvilupparsi del flauto ci svela petalo dopo petalo il segreto custodito dal fiore più affascinante e più regale e dove la chiave altro non è che il saper coltivare questo nostro fiore interiore che è la vita e l’amore verso di essa. Il saperlo irrorare dalla pioggia e riscaldare dal sole: “difendi la tua rosa dal dolore e dallo spavento.... difendi la tua rosa dai corvi e dagli assassini.... e quando le nuvole ti verranno a cercare troveranno i tuoi pensieri li fermi ad aspettare…quando il temporale ti farà svegliare, le tue dita fragili cesseranno di sanguinare....e se il lampo con il tuono verrà giù, le tue dita fragili non sanguineranno più…”.
Se già nelle tracce precedenti, la natura procedeva di pari passo con l’amore tenendolo per mano e accompagnandolo in questa scoperta sorprendente dove il sole, la pioggia, la spiaggia e il mare sembrano assimilarsi tutti e confondersi tra le radure di un fatato “bosco dei pensieri”, la natura è qui presente in tutte le sue forme e nei suoi colori più accesi, divenendo parte integrante dell’anima dell’artista. La natura diventa lo specchio di ciò che siamo, talvolta un ostacolo, come pioggia, il temporale, la tempesta…ma anche la nostra rinascita, quello scudo che ci difende dalle nostre paure, una luce che ci fa uscire dalla nostra oscurità (le stelle, il sole, il mare...)
E gli elementi naturali compongono proprio come un bouquet la tramatura di parole intessute di splendide allegorie:
"le lacrime asciugale con i raggi del sole, le ferite rammendale con fili di seta e d'amore, le speranze ricamale con due piccoli petali di viole..."
Parole che sembrano un racconto per la poeticità stessa, con la quale vengono espresse e che ci riportano alla nostra infanzia, a quando la purezza dei nostri pensieri, era un tutt’uno con la natura circostante e dove l’innocenza sorrideva e si sorprendeva davanti al più lieve luccichio del mondo : "finchè rinascerà la luce a splendere...oltre il silenzio di cento notti spoglie...ritornerò il bambino che barattò la luna, in cambio del sorriso"
E’ merito poi, di una nostalgica armonica, se si scorgono tra le note di “C’è silenzio” il dilaniarsi di un motivo floreale che ritorna come filo conduttore di questa aurora naturale che ci fa rinascere ogni volta che guardiamo le cose dal giusto punto di vista. "Una madre partorisce c’è silenzio, una rosa appassisce, c’è silenzio... il silenzio è il suo rumore, sono le stagioni del mio cuore…”è quella contemplazione necessaria ad ascoltarci, di nuovo a meritarsi il mare, ad immergerci nei suoi abissi senza sprofondare tra le onde, senza lasciarci trascinare alla deriva, rimanendo in superficie, quel tanto che basta ad osservare la movenza delle onde e il loro quieto rumore: “il silenzio è il suo clamore, son l'autunno del mio cuore….. il silenzio è il suo dolore, sono inverno qui sul mio cuore
il silenzio è il suo splendore, è primavera sul mio cuore…” e il cerchio si chiude accostando il ciclo naturale delle stagioni, alle fasi della vita, scandite dal tempo e dal cambiamento che esso apporta, senza dimenticare il nostro bagaglio emotivo che ci portiamo appresso e che contraddistingue ogni attimo della nostra vita…anche quando “c’è silenzio”.
Sonia Bellin