Paolo Sorrentino Parthenope
2024 » RECENSIONE | Drammatico | Commedia
Con Stefania Sandrelli, Celeste Dalla Porta, Luisa Ranieri, Silvio Orlando, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Peppe Lanzetta, Alfonso Santagata
28/10/2024 di Laura Bianchi
Perché questo film è, certo, "sorrentiniano", e non potrebbe essere altrimenti, per un regista che, fin dai suoi esordi, indaga sul se stesso cinquantenne, attraverso una galleria di personaggi indimenticabili - a mio parere, su tutti, Titta Di Girolamo de Le Conseguenze dell'amore - , e sulle conseguenze del passare del tempo. Con tutti i suoi presupposti, le sue incertezze, il suo slancio verso una risposta, sia pur provvisoria.
Ma questo film è anche il meno in linea con i precedenti; perché si svolge in un arco narrativo ampio, i 73 anni di vita della protagonista, con varie ellissi, la più importante delle quali ci porta dagli anni Ottanta ai nostri giorni. Per la precisione, a quel 4 maggio 2023 in cui il Napoli vive i suoi giorni di gloria con lo scudetto, e in cui una Parthenope ormai anziana (che ha il volto di un'immensa, iconica Stefania Sandrelli) torna nella sua città natale dopo quarant'anni.
Nessuna anticipazione sulla trama, troppo è il rispetto per chi deve ancora vedere il film. Torniamo invece sull'azione di vedere. Azione che Sorrentino interpreta in senso antropologico, come indagine sull'uomo, sul suo desiderio di vita e di bellezza, sul suo continuo illudersi che la vita consista nel godimento della bellezza, in una sorta di eterna giovinezza. Invece, la vita è dolore, e a nulla valgono, in senso cinematografico, i ralenti stile pubblicità di profumi, i primi piani su dettagli di corpi bellissimi, le scene al chiaro di luna e il vento tra i capelli, nel tentativo di addolcire l'amarezza della verità.
Come il Leopardi dei suoi ultimi giorni a Napoli, stretto tra la minaccia del Vesuvio e quella del colera, cerca l'armonia nel caparbio e vitale profumo della Ginestra, Sorrentino vaga nel tempo e nello spazio, cercando la vita nel dolore, che sia nei Vasci preda della camorra o nelle lussuose ville della Costiera, nelle lotte studentesche degli anni Settanta o in una silenziosa stanza, in cui si consuma l'esistenza di un essere abnorme, ma dolcissimo e sorridente.
Il regista ci guida, lentamente, ma inesorabilmente, in mezzo a volti che diventano maschere di se stessi, tra dive alla Loren che perdono i capelli (Luisa Ranieri superba nel suo monologo - invettiva), o che vengono sfigurate da chirurghi estetici, cardinali che si tingono i capelli "per hobby"( Peppe Lanzetta mai tanto intenso), maturi miliardari che inseguono vacue conquiste, scrittori alcolizzati e cinici, come il Gustav von Aschenbach di Morte a Venezia, che stavolta ha il volto di Gary Oldman.
E ce li fa vedere, in senso antropologico, sia con la sfrontatezza giovanile di Parthenope dalla bellezza sfacciata e momentaneamente onnipotente (Celeste Dalla Porta), sia con la maturità consapevole del suo alter ego, il professor Marotta (uno stratosferico Silvio Orlando), che negli occhi e sul viso non ha il ghigno di Servillo (assente, in questo film: altro segno di scarto), ma la dolente serenità di chi ha imparato a vedere, e, alla domanda della sua allieva "Quando si impara a vedere?", risponde:"Quando comincia a mancare tutto il resto.".
Quindi, se l'Antropologia è vedere, lo spettatore deve farlo con mente e cuore, come se leggesse un saggio sull'uomo, le sue tradizioni, la fede (qualunque essa sia, in San Gennaro, nel Napoli, nel potere dei soldi), le sue abiezioni, "il tempo che scorre accanto al dolore". E deve immergersi nel flusso di immagini, piani sequenza, e nei suoni di una colonna sonora, più del solito, stupefacente, tra un Cocciante che urla il dolore dell'abbandono, un Paoli che si abbandona all'illusione del primo amore, ma anche Ligeti, Sibelius e Enzo Avitabile, oltre a una canzone originale, di Valerio Piccolo, E si' arrivata pure tu.
E uscire dalla visione come dal mare di Napoli, grondante emozioni e riflessioni, che sgocciolano nel tempo, generando altre connessioni, e impressioni sempre più durature. Segno che il cinema di Sorrentino continua a stupire ed emozionare, purché si sappia vedere.