Il cinema di Paolo Sorrentino, con i suoi strani personaggi, è disseminato di ambiguità e disperazione, dove ogni battuta, sguardo degli occhi o gesto del corpo, diviene sintomo di uno stato d’animo difficile da spiegare a parole, ma più semplice da chiarire con il solo impatto emotivo delle immagini cinematografiche. Se questo è vero per i suoi due precedenti film – “L’uomo in più” e “Le conseguenze dell’amore” – è ancor più vero per “L’amico di famiglia”, ultima fatica del regista napoletano. Protagonista della storia è Geremia de’ Geremei (Giacomo Rizzo), settantenne solitario e d’aspetto orribile, che sin dalle primissime inquadrature ci dà un senso di nausea e profonda tristezza, rinchiuso com’è al buio di una stanza, mentre l’anziana madre (costretta a letto) gli chiede di cambiarle la padella per i bisogni. Ma chi sarà mai questo simil uomo? E’ un usuraio, che a forza di prestare denaro diventa poco a poco “amico” delle famiglie che dissangua con tassi di interesse spaventosi. Ma sulla sua cattiva strada incontrerà una ragazza bellissima (una Laura Chiatti più sexy che mai), che gli farà perdere la testa, inducendolo seppur indirettamente a commettere errori che gli costeranno caro. Si sa, l’amore fa brutti scherzi, soprattutto agli uomini soli. E Geremia “Cuore d’oro” – così gli piace farsi soprannominare – lo è a pieno titolo. A volte lo vediamo andare a pesca con Gino (Fabrizio Bentivoglio), socio di Geremia con la fissa del Tennessee, dove vorrebbe ritirarsi per vivere come un vero cowboy d’altri tempi. Un sognatore, insomma. E lo spettatore, nel vederli passeggiare e parlare come due amici, si chiede: “Ma lo saranno davvero?”. Alla fine, forse, si capirà.
L’amico di famiglia, dunque, è un personaggio misterioso e indecifrabile, sin troppo umano - “irascibile, tirchio, falso, vendicativo, gentile, logorroico”, come lo definisce un suo cliente – che a tratti fa paura. E lo stile maniacale e preciso del regista sembra quasi porre tutti i personaggi al di fuori del mondo, o forse anche troppo invischiati nel marcio di quel mondo creato a loro (e a nostra) immagine e somiglianza. La pellicola, tuttavia, non è all’altezza degli ultimi due film di Sorrentino: qui infatti ci sembra che la storia filmata arrivi nel finale un po’ stanca e priva di quella tensione narrativa che sin dalle prime sequenze ci aveva invece affascinato. Resta sempre però la maestria del regista partenopeo nel parlare con le immagini piuttosto che con le parole. Anche se in una sola battuta Geremia “Cuore d’oro” riesce a spiegarci l’essenza criminosa del suo lavoro: “Siete qui, tutti in affitto. Il mondo vi è stato dato solo in prestito, e io vi presto il mondo quando ogni tanto lo perdete”. A dir poco inquietante.