The White Buffalo Year of the Dark Horse
2022 - Snakefarm Records
Non ha usato mezze parole Jack Smith per presentare il suo nuovo lavoro, con lo pseudonimo di The White Buffalo, e destabilizzare così i propri estimatori su quanto si sarebbero apprestati ad ascoltare.
A due anni di distanza da On the Widow’s Walk, il songwriter statunitense, narratore potente e prolifico, torna a dare prova del suo estro con l’obiettivo di liberarsi da qualsiasi tipo di preconcetto o etichetta che gli sono stati affibbiati, intenzionato quindi a tirar fuori qualcosa di diverso mai fatto prima.
Sono questi, diciamo, i presupposti su cui si basa l’ottavo disco di The White Buffalo, lavoro dal titolo decisamente suggestivo, Year of the Dark Horse.
L’album è un concept basato essenzialmente sull’instabilità di una relazione che si muove di pari passo a quella delle stagioni. Cantautore profondo ed enigmatico e dall’incredibile voce oscura e rimbombante, anche in questo caso, Smith sviscera una narrazione evocativa raccontando una storia fatta di dissolvenza e colpa, amore e perdita, praticamente una vita contro le probabilità, il tutto ambientato in un anno lunare durante il quale il nostro “antieroe” si districa attraverso gli alti e i bassi delle stagioni.
Le dodici composizioni del disco, ponderate emotivamente, penetrano l’una nell’altra in un turbine sonoro che concede all’immaginazione di assumere il ruolo fondamentale nell’ascolto di questo nuovo ed imprevedibile viaggio musicale. Partendo dalla speranzosa metafora dell’inizio dell’anno che svanisce attraverso una corsa di cavalli nell’inquietante singolo Not Today, Year of the Dark Horse apre ad una dimensione pop a cui non eravamo abituati, una dimensione musicale decisamente diversa dai lavori precedenti di The White Buffalo. Nel suo intento di cambiare registro sonoro, influenzato, come sua stessa ammissione, dall’operato di musicisti come Daniel Lanois, Tom Waits e Bruce Springsteen, Smith prosegue nel suo intento piazzando altre canzoni dal retrogusto pop come Kingdom For A Fool, Heart Attack e Donna, fino a sorprendere con l’inaspettata vena distorta di Love Will Never Come/ Spring’s Song o il ritmo valzerggiante di She Don’t Know That I Lie.
In Love Song #3 e Am I Still A Child troviamo invece quel piglio malinconico che non può di certo mancare nell’operato del songwriter Smith, così come quelle ballate che prendendo spunto dal passato ben si adattano alla nuova scelta sonora: C’mon Come Up Come Out, 52 Card Pickup e Winter Act 2. In Winter Act 2 viene citato Springsteen, la cui influenza la possiamo constatare già dalla copertina, mentre il titolo dell’album ricorda il film documentario, di metà anni Novanta, di Jim Jarmush su Neil Young in tour con i Crazy Horse.
Registrato ai New Cross Studios di Nashville, d’altra parte, il disco vede la presenza in cabina di regia del produttore Jay Joyce, mentre la The White Buffalo band vede, come sempre, i due “compari” di Smith che lo accompagnano anche nei tour: Christopher Hoffee (basso, tastiere, chitarre) e Matt Lynott (batteria).
Jack Smith voleva fare un disco diverso dal solito e l’ha fatto con grandi risultati.