The Kills Keep on your mean side
2003 - ROUGH TRADE
Per i Thrills si parla di una curiosa collaborazione nata a distanza tra Londra e la Florida, di cui si trovano tracce nel booklet. Ancora più loquace il loro aspetto tossico, emaciato ed un’identità volutamente enigmatica, sbattuta in copertina, Hotel lui e VV lei.
A salvarli è invece la musica, l’ultima cosa che a questo punto ci si poteva aspettare. Il disco è costruito su riff scarni, ripetuti fino all’ossessione, e sulla voce di VV, che ricorda la P.J. Harvey più apra degli inizi. Sembra di trovarsi di fronte ad un’altra band tipo gli Yeah Yeah Yeahs, ma i Kills non hanno alcuna movenza felina, piuttosto seguono un blues primordiale, continuamente maltrattato.
Pur nella diversità del suono, l’approccio è più simile a quello dei Raveonettes per una radicalità estrema in fase di composizione e di interpretazione: invece che su un’unica tonalità, le canzoni sono costruite su pochi accordi ed eseguite su poche note. Un suono e un modo di suonare che sono voluti, ma anche dovuti alle limitate capacità economiche e strumentali del duo.
Compaiono come fantasmi i Royal Trux, Jon Spencer e i Velvet Underground: addirittura “Kissy Kissy” ha un giro di chitarra che ricorda i Creedence Clearwater Revival più oscuri.
Tutto il disco porta avanti una manovra di accerchiamento del blues e del rock’n’roll, che, una volta a portata di mano, vengono afferrati per i capelli e straziati fino all’abuso. Le chitarre grattano sporche sempre lo stesso riff, martellando sul ritmo di una drum machine e sull’alternarsi di due voci abuliche: quando feedback e distorsioni fanno stridere ancora di più l’attrito tra le parti, è l’armonica a farsi portatrice del blues insinuandosi e sbavando sotto i pezzi.
“Wait” sarebbe stata una perfetta canzone dei Velvet che furono: batteria e chitarra che girano basse, un la-la-la annebbiato, un’armonica e una controvoce sussurrata come fosse l’ultimo respiro.
Ma più che sulle canzoni, i Kills puntano sulla forza primitiva del ritmo: da una battuta costante ed elementare, rimarcata da tutti gli strumenti fino all’ossessione, traggono la forza e l’anima del loro suono. È la prima lezione del rock’n’roll e non è un caso che “Fuck the people” si porti dietro echi di Bo Diddley, uno che in fatto di ritmo ne sapeva qualcosa. Ci sono anche un’organo in “Monkey 23” e qualche loop in “Superstition”, ma sono particolari che non scalfiscono nemmeno la sostanza ruvida del disco.
I Kills sono “solo” questo: prendere o lasciare.