Offlaga Disco Pax Socialismo tascabile
2005 - Santeria/Audioglobe
L’attesa montata negli ultimi mesi intorno al debutto degli Offlaga Disco Pax ha dell’incredibile, tanto più se si tiene conto che tutto è stato alimentato da un formidabile e carbonaro passaparola da parte di fan fulminati da un brano diffuso via web e dalle testimonianze di concerti brevissimi, esaltanti, al termine dei quali i presenti non facevano altro che ripetersi istintivamente la fatidica domanda: e questi da dove escono?
Una situazione curiosa, che in meno di due anni ha portato tre esordienti più o meno assoluti dall’invenzione tout-court di un immaginario apocalittico e naif all’esibizione in oltre 40 date in mezza Italia con il solo biglietto da visita di un demo inequivocabilmente spiazzante, alla stampa di disco che riprende fedelmente i passi di quelle prime registrazioni delle quali viene mantenuto intatto il rigido minimalismo.
Gli Offlaga Disco Pax si fanno beffa di ogni catalogazione o appartenenza a scene di sorta, rivendicano orgogliosamente una personalità/originalità/indipendenza con una testardaggine tale da paragonarli prima ancora che ad un gruppo musicale, ad un reale fenomeno di costume, o solamente, come meglio amano definirsi, un “collettivo neosensibilista contrario alla democrazia nei sentimenti”.
All’ascolto di “Socialismo tascabile” -sottotitolo “Prove Tecniche di Trasmissione”-, tutti coloro si sono illusi che i Massimo Volume già rappresentassero l’apice espressivo ottenibile dall’unione tra narrativa e musica si ricrederanno.
Questo lavoro accosta senza mezze misure testi che sono racconti autobiografici zeppi di una retorica eccessiva, la cui arma vincente è una dose di ironia impietosa, dolceamara e altrettanto esagerata narrati da quella voce della porta accanto che appartiene a Max Collini, autore dimesso, lontano mille miglia dalla patinatura delle star stagionali che il mercato è solito imporci. Sul fronte prettamente musicale la ricetta non cambia: marziali ma ricercatissimi ed il gusto per certa elettronica vintage di Enrico Fontanelli si affiancano all’uso smodato di effettistica della chitarra di Daniele Carretti. Il risultato finale non consente malintesi: bianco o nero, di certo gli Offlaga Disco Pax hanno la stazza di un rullo compressore che passa senza lasciare indifferenti.
I riferimenti, ad esclusione del più evidente accostamento ai CCCP Fedeli alla Linea (“Allarme” viene esplicitamente citata in “Cinnamon”), non sono troppo scontati. Se far combaciare le attitudini degli storici Gang of Four, Cocteau Twins, My Bloody Valentine, giù giù fino agli Autechre con l’estetica cara ai nuovi pupilli della punk-funk generation sulla carta può apparire disagevole, solo ad ascolto avvenuto tutti i dubbi vengono fugati.
Le tracce di “Socialismo tascabile” sono schegge impazzite, frutti testardi di un’assimilazione anomala di uno scenario deviato. Se fin dalle prime battute la collocazione dei nove racconti qui raccolti si colloca a metà strada tra la Berlino nostalgica di “Goodbye Lenin!”, la pianura di “Emilia Paranoica” e la Londra a tinte emo di “Alta fedeltà”, è più evidente che sulla lunga distanza lo scenario sul quale si muovono i personaggi degli Offlaga Disco Pax viaggia piuttosto tra le robuste carrozzerie di cartone di una Trabant diretta verso Tirana, con il sottofondo di spot pubblicitari le cui parole disturbate fuoriescono dalla piccola cassa montata sul cruscotto.
Il disco parte seguendo un crescendo esemplare che raggiunge il culmine, da lasciare senza fiato, nella sua parte centrale, dove il gruppo concentra il suo meglio: la fiera “Cinnamon”; il dirompente shoegaze “Tono metallico standard”, fredda parabola sull’invidia e l’idiozia che regna tra i professi alternativi nostrani; la lunga, toccante “Tatranky”, relazione su affinità e divergenze tra comunismo e consumismo; “Robespierre”, singolo dirompente, spartiacque che -c’è da starne certi- segnerà il confine tra pre e post Offlaga Disco Pax.
Se consideriamo la deriva espressiva in cui versa da oltre un decennio la nostra musica e la latitanza di un progetto (uno solo) che abbia avuto lo slancio di rappresentare e spiegare il nostro tempo, siamo certi che le gesta di questa formazione rappresentano un vero e proprio punto di non ritorno per la musica italiana, per il recuperato occhio nitido e feroce con il quale ci costringono, malgrado tutto, a confrontarci con la nostra realtà deviata.
Eccesso di trionfalismo? Tanto rumore per nulla? Entusiasmo ingiustificato? Nulla di tutto ciò. Questa volta si ritorna (finalmente) a fare sul serio.
Alle Cinnamon
e a tutti i compagni caduti
bisognerebbe dedicare una piazza
davanti ad un ipermercato.