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Jama Trio 11:11
2015 - Autoprodotto
11:11, che viene dopo un paio di ep (San Francisco e Soma, 2013), sembra partorito sotto la tutela e la virtuale benedizione di tanti campioni dell'Americana, con i Black Crowes più melodici e acustici in prima fila: lo si sente nell'approccio, nello stile, nelle scelte musicali. Qua e là si avverte anche un filo di psichedelia, come eredità di esperienze passate. Un disco che nasce quindi sotto buoni auspici, che fanno passare in secondo piano una certa disomogeneità nella costruzione della tracklist. Tutta la prima parte, più o meno fino all'ottava traccia, sconta infatti un po' di ripetitività nei ritmi e nelle cadenze, riscattata da una virtuale “side b” che risplende di una maggior varietà e originalità, con più scrittura, più blues e più soul. Fa eccezione la title track, che si fa notare per la bella trama di strumenti acustici e un accompagnamento della batteria tra lo stomp e un morbido gioco dei piatti. Anche Mark Lenders, omaggio all'indimenticato campione del cartoon "Holly e Benji", sfoggia una bella solidità acustica.
11:11 stempera e alleggerisce con l'arma dell'ironia la sensazione del già sentito e dà vita a una rivisitazione giocosa dei generi (il country, il folk, il blues, il gospel): basta ascoltare le false partenze di Country Song (Take 3), o la divertente enfasi gospel di I'm A Pilgrim e Everybody Is Going to Hell, Oh Lord Save Us. Ma il disco cresce alla distanza, per un rush finale che concentra i pezzi più intensi. Strenght ci porta dentro un'atmosfera blues-jazz da club fumoso per un brano di grande fascino e mestiere, brutalmente ma efficacemente sconvolto dal ringhio della voce di Paolo Ronchetti. The Last Man On Earth inizia alla J.J. Cale ma si apre verso atmosfere soul, con un bel cantato vibrante e drammatico che lascia il segno. Anche la rischiosa cover dylaniana di A Hard Rain's A-Gonna Fall dimostra personalità, ritagliandosi uno spazio a metà tra il rispetto per l'originale e il coraggio di fischiettarlo senza remore, come si fa con le melodie che si masticano dentro da tanto tempo. La voce di Jama colpisce per calore e naturalezza (oltre che per la notevole pronuncia yankee), affiancata da un'interpretazione grintosa ed energica, a suo agio soprattutto dal vivo. E il suono del trio cerca una sua originalità, senza picchiare e strepitare ma piuttosto rifinendo, con leggerezza, alle spalle del leader.