Fausto Rossi Blank Times
2012 - Interbeat
Icona della libertà artistica senza sotterfugi, dei rischi dell’esplorazione musicale senza preconcetti ed esempio del prezzo che si è destinati a pagare per “fare la propria cosa”.
E’ stato così dagli inizi, verso la fine degli anni ‘70, quando, sotto il nome di Faust’O, ha costeggiato a modo suo il music business ufficiale con i suoi indimenticabili lavori storici, a cavallo tra new wave, post punk e canzone d’autore.
E’ stato così anche negli anni successivi, quando ha abbandonato il nome d’arte per recuperare la propria reale identità, e si è svincolato completamente dalle pastoie della professione per costruire passo dopo passo un percorso artistico solitario e doloroso che ha pochi paragoni in Italia e non solo.
Una manciata di dischi, 7 in 20 anni, intervallati da lunghe pause, con cui Fausto si è mosso tra le linee del rock, spiazzando ogni volta i suoi ascoltatori con ricerca elettronica e sperimentazioni radicali (Cambiano le cose e Below the Line), canzoni maledette dense come pece (L’Erba e Exit) e lavorando di sottrazione su se stesso per arrivare all’essenza di un sorta di blues acustico minimale (Becoming visible).
Una discografia unica, che ci ha saputo regalare alcuni capolavori assoluti, ma basterebbe solamente l’onestà intellettuale ed il talento visionario di Fausto a giustificare il piccolo culto da cui il Nostro è circondato e l’attesa di ogni sua nuova uscita.
Non fa eccezione il nuovo Blank Times, pubblicato da Interbeat, 10 brani dalla scrittura tipicamente faustiana, prevalentemente ballate legate da un mood dolente e malinconico, rivestite di tensione elettrica grazie al formidabile lavoro alle chitarre di Pierluigi Ferrari e grazie al contributo ritmico di un combo rock tradizionale, popolato da vecchi amici e compagni di viaggio come Cristaldi, Viti, e Fioravanti al basso, Ciccarelli e Russo alla batteria.
Il disco sembra puntare ad un obiettivo di comunicazione diretta con l’ascoltatore, senza alcuna barriera o rischio di fraintendimento, e per questo forse si sceglie la via della semplicità apparente, che è sempre un mestiere assai complesso.
Le canzoni alternano ballate dolenti (Down Down Down, Names), spoken word ora nervoso ora psichedelico (I write aloud, The hill), atmosfere più dilatate e quasi floydiane (Can’t explain), simulazioni pop (Stars, Tu non lo sai), blues visionario (Non ho creduto mai, Sogni, Il vostro mondo).
Il suono è molto classico, un rock pulito e lineare, a tratti orientato verso il blues, a tratti quasi lennoniano, a tratti più dilatato, quasi psichedelico, e si sprigiona con sapiente lentezza brano dopo brano, ascolto dopo ascolto.
Questa scelta formale, esalta e mette a fuoco nitidamente quanto Fausto vuole comunicare: se il suono è classico e semplice, non c’è nessuno sconto rispetto alla visione del mondo, che al tempo stesso sa essere profondamente malinconica (Pensavo all’amore / quello che resta del sogno / tutto è nel buio /poche le stelle nel cielo), antagonista (E’ il vostro mondo/il vostro Dio/il vostro sogno/il vostro io/è il vostro nome/non il mio), dolente (Sometimes I feel/I miss my home on the hill/miss the voice of the leaves/the richness of silence on me), o paranoica (Vedrai come ti rubano tutto, vedrai/e tu che non lo sai/che vengono in silenzio/e ti prendono ogni cosa che hai).
E’ ancora un mondo non pacificato quello di Fausto, in cui il sogno è una via di uscita dalla realtà aliena e solitaria (I sogni, si/portano via/poi tornare è tanta pena sai), in cui non ci sono facili soluzioni alla fatica del vivere (I can’t explain/growing old and gray/how could I say/the future in my eyes), e l’Artista si fa pienamente carico della propria responsabilità verso tutto ciò (Scrivo ad alta voce, perché ho paura di ciò che scrivo; la paura inventa il futuro).
Blank times è quindi un lavoro che si inserisce pienamente nella discografia di Fausto, essendo al tempo stesso suggello di una trilogia del ritorno oscillante tra blues e noise (Becoming Visible e Below the Line), ed anello di congiunzione con dischi più lontani come L’Erba ed Exit, di cui forse non ha la stessa potenza eversiva.
E’ però un disco vero e profondo, destinato ad accompagnare negli anni chi abbia la voglia di cogliere la sua intima sincerità.
Be simple, stay true scrive Fausto Rossi in una dedica nelle note finali del disco.
Ecco, alla fin fine, bastava dire questo per tentare di spiegare la bellezza e la forza di quello che, insieme a Life is People di Bill Fay, è per chi scrive uno dei dischi più inquieti e a sé stanti dell’anno 2012.
In attesa del prossimo passo del viaggio. Che sarà ancora libero ed inatteso.