live report
Fausto Rossi Cellatica (bs)
Concerto del 09/12/2005
09 dicembre 2005
Morya alter Bar - Cellatica (BS) Fausto Rossi è un uomo libero. Lo ha dimostrato per tutta la propria vicenda artistica, in un crescendo la cui apoteosi è stata una prolungata parentesi di silenzio che dal 1997 lo ha tenuto lontano dal mondo della canzone. Una pausa per certi versi rigenerante ed indispensabile per assimilare un lavoro monumentale e imperativo quale "Exit", cardine di una poetica che non è solo canzone, ma testimonianza di una vita tesa perennemente fra ribellione e trascendenza. Fausto Rossi è un uomo libero come i propri testi, anatemi contro gli uomini, contro il mondo, contro Dio, contro sé stesso.
Libero di cambiare pelle, nome e di riconquistare la fiducia di un pubblico che ha intrapreso da tempo un digiuno cronico in fatto di personalità forti con le quali confrontarsi. Il suo ritorno, per via di una piuttosto malcelata incredulità, è stato salutato con un sommesso entusiasmo. Tre soli showcase in altrettanti piccoli club, per ritrovare i contatti con i propri fan radunati da un tam tam sotterraneo e per mettere a punto una manciata di brani inediti che vedranno la luce nel prossimo anno in un nuovo album.
Il Morya Alter Bar è letteralmente preso d'assalto da un centinaio di persone che, strette intorno al palco, riempiono in men che non si dica il piccolo e accogliente sotterraneo. Accompagnato da una band formata da Andrea Viti (Karma, Afterhours) al basso, dai sessionman Alessio Russo alla batteria e Pierluigi Ferrari (Finardi, Concato, Bertoli) alla chitarra e da Franci Omi (Il grande Omi) alle tastiere, il nostro introduce la serata mettendo subito le cose in chiaro: "…alcuni brani nuovi, poi altri pezzi vecchi… ma non troppo", come a prendere le distanze da quanti fossero accorsi incuriositi dal fantasma del suo vecchio alter ego Faust'o.
Il suo aspetto è fedele alle attese: i capelli lunghissimi sciolti lungo schiena, il volto scavato di chi ha vissuto sulla propria pelle più di quanto sia lecito chiedersi, i grandi occhi a guardarsi intorno e ad interrogare gli spettatori stessi, una presenza scenica affascinante e carismatica che quando parte il primo brano ti dischiude di fronte tutto il proprio potenziale espressivo. La band è superlativa e segue compatta il percorso sonoro di brani dalla forte matrice rock. I primi riferimenti di Fausto Rossi di oggi paiono essere Patti Smith (la cui somiglianza, non solo stilistica, con il nostro è molto forte) e Lou Reed, e i nuovi pezzi, tutti in lingua inglese, si muovono avvolgenti grazie alla voce profonda ed evocativa, ad arrangiamenti che privilegiano una ritmica scarna e parti chitarristiche poco invasive quanto determinanti alla loro tessitura.
Solitudine, isolazionismo, libertà, droga, religione, politica, conflittualità ed emarginazione sono i temi affrontati e che vengono riproposti nelle esecuzioni della seconda parte della serata, tratti esclusivamente dai due ultimi lavori in studio: "Tutto è possibile", "Exit", "Troppe canzoni", "Perché il mio amore" in un arrangiamento prezioso. La scaletta lascia senza fiato e la tensione che le parole estreme riflettono alla platea è palpabile. Le brevi presentazioni dei singoli brani sono una surreale freccia lanciata contro l'ipocrisia imperante, provocazioni che non lasciano indifferenti. Fausto Rossi canta la propria coerenza con le mani in tasca, l'aria apparentemente dimessa ma completamente assorbita dalle parole che pronuncia. Ogni pausa non è che il respiro lasciato in sospeso nell'attesa repentina di una nuova emozione, che giunge ogni volta, puntuale, lungo la schiena.
Una oltremodo dilatata versione di "Blues", il più intenso e visionario testamento artistico mai scritto da una penna rock, viene recitato dal nostro seduto a terra in una definitiva performance nella performance. Il concerto è finito, ma c'è spazio per il bis di un inedito che sottolinea il particolare stato di grazia dell'autore che si riconsegna agli applausi dimostrando una disponibilità particolarmente felice.
Ci rialziamo e non sappiamo che dire. Rimaniamo con gli occhi spalancati a fissare il palco vuoto, le gambe immobili e le mani in tasca anche noi. Bentornato Fausto, quanto ci sei mancato.