Dr. John The mercenary
2006 - Parlophone / Emi
Alcune di queste operazioni sono state delle vere e proprie sorprese che hanno giovato sia a chi ha recuperato sia a chi è stato recuperato, con grande beneficio della musica in sé. Tra queste collocherei anche l’ultimo disco di Dr. John, che è andato a rispolverare il canzoniere di Johnny Mercer.
Sembra che l’idea gli sia venuta dalla figlia, che un bel giorno gli ha suggerito di suonare “Personality”, un vecchio pezzo del 1946. Ad ascoltare il disco che ne è venuto si direbbe che queste musiche aspettassero solo di essere possedute dal funky-blues di Dr. John e che in fondo Tina abbia solo intravisto ciò che già era evidente.
Niente di più falso, perché Mercer è un autore quanto mai romantico e swing: il suo nome lo potete infatti trovare accostato a pellicole come “Sette spose per sette fratelli” e “Colazione da Tiffany” o a quello di compositori come Henry Mancini o voci come quella di Benny Goodman e Nat King Cole. Con Dr. John condivide solo qualche lontana e vaga affinità, riconducile al fatto che entrambi provengono dal Sud degli States.
Eppure “The mercenary” sembra proprio uno di quei dischi che prima o poi dovevano essere registrati, frutto di due artisti e di due musiche che non potevano non incontrarsi. Lo ribadisce anche l’artwork del cd, giocato tra il cognome di Mercer e la natura losca di Dr. John, che mercenario lo è sempre stato nell’accezione più nobile del termine.
Si comincia con “Blues in the night” introdotta da un breve moaning prima che il ritmo chiarisca subito come Dr. John abbia tutte le intenzioni di approfittare dello swing di Mercer: l’approccio signorile degli originali viene trasferito su movenze più bastarde, ma pur sempre d’onore, come se un aristocratico si trovasse a scendere a patti con un contrabbandiere e finisse per esserne affascinato.
In questi tredici pezzi c’è tanto mestiere, ma mai fine a sé stesso: è la stoffa di un musicista a suo agio quando sguazza in ciò che lo attira. Splendidi sono i soul sornioni di “Hit the road to dreamland” e “You must have been a beautiful baby”, quest’ultima con un finale parlato e stoppato, e una ballata svogliata come “Come rain or come shine”, punzecchiata dalla chitarra. Ne esce un impasto di swing e funk, in cui voodoo e ragtime sembrano anime gemelle. Le interpretazioni sono assolutamente personali e la band è perfetta, soprattutto nei fiati: tromba e sax soffiano i pezzi spargendo fumo nel covo di quel gran bucaniere che è Dr. John. Che ha trovato un’altra perla da aggiungere al suo tesoro.