Dr. John Right place, right time: live at tipitinas mardis gras ´89
2006 - Hyena Records
Non so in quanti avrebbero sperato però in un Dr. John tanto in forma da pubblicare nel giro di pochi mesi prima questo live e poi un nuovo album in studio (“Mercenary”, di cui ci occuperemo presto): quella che per altri è sovrabbondanza per lui è una cura azzeccata, che ringiovanisce prima il corpo e poi lo spirito.
Oggi più che mai infatti il soprannome di “New Orleans healer” è giusto e significativo, non solo per la tragedia che ha colpito la sua città, ma per la passione e la verve con cui Dr. John è tornato a suonare.
Non ce n’era bisogno, ma ne è un’ottima conferma questo “Right place, right time”, secondo episodio della serie Rebennack Chronicles, inaugurata con “All by hisself”. Anche nella pubblicazione del materiale d’archivio Dr. John si distingue dai colleghi che sfornano live bootleg a ripetizione, perchè queste Rebennack Chronicles seguono un criterio più ufficiale nelle cadenze d’uscita e soprattutto nella qualità e diversità del materiale proposto.
Registrato nel pieno del carnevale del 1989, il disco cattura un Dr. John in versione full-band e in un’atmosfera godereccia di cui la sua musica è il principale fautore.
“Junco partner” serve ad entrare nel clima della serata con le movenze del piano e le risposte che arrivano dai fiati: nel corso dei 48 minuti di concerto saranno infatti determinanti il ruolo ritmico svolto dal pianoforte, il sax di Amadee Castenell e la tromba di Charlie Miller.
“Renegade” scende nei meandri del funk e, trasportato nella giungla, Dr. John comincia a darci dentro improvvisando qua con un parte parlata mentre più avanti fischietta spassandosela su “Travellin’ mood”. Spiccarno per intensità soprattutto le ballate: “I walk on guilded splinters” è un pezzo del 1968 con un passo scuro allungato dai fiati, “Black widow” è una ballata un po’ puttana e “Don´t Let the Sun Catch You Crying” è impregnata dell’alcol di una sbornia non del tutto passata.
C’è poi da divertirsi sulle movenze di “Let the good times roll” e sulla sorniona “Kinfolks”. Peccato che la festa finale venga mutilata con una “Such a night” a sfumare che lascia con l’amaro in bocca, come se i presenti avessero cominciato ad andarsene mentre sul palco ancora si faceva musica.
Ma c’è da scommettere che a quel Mardi Gras tutti sono rimasti fino all’ultima nota e oltre.