Dead Cat in a Bag We ` ve been through
2022 - Gusstaff Records
qui la recensione del terzo disco), e dona ulteriori speranze da nutrire, per un percorso coerente e sempre più ricco di sfumature.
Luca Swanz Andriolo, Scardanelli e Andrea Bertola si sono fatti affiancare dalle imprescindibili chitarre di Carlo Barbagallo, da Liam McKahey, voce densa di rimpianti nella splendida Lost Friends, e da Gianni Maroccolo, che, col suo basso nella prima traccia, The Cat Is Dead, marca il perimetro del viaggio che il gruppo intende proporre ai suoi ascoltatori: uno spazio musicale e visivo, dagli ampi orizzonti, che attinge ai maestri senza mai copiarli, ma semmai emulandoli con una nuova linfa, autentica, composita, arricchita da arrangiamenti accurati. I tre suonano praticamente di tutto: Andriolo, oltre alla voce, suona banjo, chitarra, mandolino, balalaika, melodeon, chumbus; Bertola violino, percussioni, campionamenti, e Scardanelli fisarmonica, piano, zaino-batteria, sega musicale, tromba, mandolino; a loro si uniscono Luca Iorfida, con bouzouki, vibrafono, organo, chitarra, piano e Michele Anelli al contrabbasso.
Non è possibile quindi trattare del disco come di una compilation di brani originali e cover: qui si parla di un lungometraggio in note, in cui il regista intende fare passare il proprio messaggio attraverso sequenze evocative e avvalendosi di interpreti poliedrici. Si ascolti, ad esempio, Evil Plans, singolare intreccio fra sonorità balcaniche, ritmi ossessivi, background vocals da western (quello di The Hateful Eight, però), una coda strumentale tesa e sospesa, perfettamente mixati alla voce narrante, un Tom Waits che incontra Nick Cave e Mark Lanegan, in una notte di sperdimenti. Oppure ci si incanti davanti a una Hunter’s Lullaby, che definire semplice cover è riduttivo; piuttosto, una riscrittura appassionata e profonda del testo di Cohen. Notevole anche il duetto con Alessandra K. Soro in Duet for Nothing, blues ossessivo, scuro, che introduce un'altra lettura del lavoro: non solo ispirato al cinema, ma vera e propria pièce in diversi quadri, presentata da artisti che conoscono quel mondo, e costruiscono i propri spettacoli con una chiara impronta teatrale.
I DCIAB afferrano l'ascoltatore, e lo portano con sé, facendolo ballare con Fiddler, the Ship Is Sinking, riflettere con From Here, emozionarsi con l'ispirata Between Day and Night, per lasciarci nelle mani del dialogo fra tromba, chitarra e voce della title track, un arrivederci affidato prima ai fiati, poi a una registrazione presa dalla strada, una fisarmonica malinconica, ma anche densa di energia: la firma su un lavoro che resterà.
Come si dice, hats off: We’ve Been Through, il quarto disco della band italiana Dead Cat In A Bag, colpisce nel segno, conferma le certezze precedenti (Luca Swanz Andriolo, Scardanelli e Andrea Bertola si sono fatti affiancare dalle imprescindibili chitarre di Carlo Barbagallo, da Liam McKahey, voce densa di rimpianti nella splendida Lost Friends, e da Gianni Maroccolo, che, col suo basso nella prima traccia, The Cat Is Dead, marca il perimetro del viaggio che il gruppo intende proporre ai suoi ascoltatori: uno spazio musicale e visivo, dagli ampi orizzonti, che attinge ai maestri senza mai copiarli, ma semmai emulandoli con una nuova linfa, autentica, composita, arricchita da arrangiamenti accurati. I tre suonano praticamente di tutto: Andriolo, oltre alla voce, suona banjo, chitarra, mandolino, balalaika, melodeon, chumbus; Bertola violino, percussioni, campionamenti, e Scardanelli fisarmonica, piano, zaino-batteria, sega musicale, tromba, mandolino; a loro si uniscono Luca Iorfida, con bouzouki, vibrafono, organo, chitarra, piano e Michele Anelli al contrabbasso.
Non è possibile quindi trattare del disco come di una compilation di brani originali e cover: qui si parla di un lungometraggio in note, in cui il regista intende fare passare il proprio messaggio attraverso sequenze evocative e avvalendosi di interpreti poliedrici. Si ascolti, ad esempio, Evil Plans, singolare intreccio fra sonorità balcaniche, ritmi ossessivi, background vocals da western (quello di The Hateful Eight, però), una coda strumentale tesa e sospesa, perfettamente mixati alla voce narrante, un Tom Waits che incontra Nick Cave e Mark Lanegan, in una notte di sperdimenti. Oppure ci si incanti davanti a una Hunter’s Lullaby, che definire semplice cover è riduttivo; piuttosto, una riscrittura appassionata e profonda del testo di Cohen. Notevole anche il duetto con Alessandra K. Soro in Duet for Nothing, blues ossessivo, scuro, che introduce un'altra lettura del lavoro: non solo ispirato al cinema, ma vera e propria pièce in diversi quadri, presentata da artisti che conoscono quel mondo, e costruiscono i propri spettacoli con una chiara impronta teatrale.
I DCIAB afferrano l'ascoltatore, e lo portano con sé, facendolo ballare con Fiddler, the Ship Is Sinking, riflettere con From Here, emozionarsi con l'ispirata Between Day and Night, per lasciarci nelle mani del dialogo fra tromba, chitarra e voce della title track, un arrivederci affidato prima ai fiati, poi a una registrazione presa dalla strada, una fisarmonica malinconica, ma anche densa di energia: la firma su un lavoro che resterà.