Damien Rice O
2003 - DrmWarner
Damien Rice apre ferite, o meglio, riapre quelle ferite che ciascuno crede rimarginate e che invece sono ancora lì, “like a crack in the wall”, non più sotto l’attenzione quotidiana, ma conservate religiosamente nel sale.
E’ un percorso drammaticamente maieutico svolto da tonalità vocali che mettono i brividi, dall’essenzialità di una chitarra acustica che ha visto e sofferto ciò che la voce racconta e da un violoncello che smuove nel fondo ciò che si è messo da parte conferendo musicalmente il gusto agrodolce che ha la tenerezza di un triste ricordo.
Il cantautore irlandese sembra spiegarci che, alle volte, si può narrare un’angoscia esistenziale come una favola, dando agli adulti la possibilità di riascoltare e togliendo lo scrittore da un’impacciante e improbabile “lieto fine obbligatorio”.
I pezzi sono percorsi da un crescendo, come un lieve continuo affanno che esplode in un conato nel ritornello. Rice le sue canzoni non le canta, le vomita togliendosi quel qualcosa che gli blocca le corde vocali fino ad esplodere, come in “Volcano” oppure in “Amie”.
Fra la lentezza di Nick Drake e il pathos di Jeff Buckley, ma non solo questo, nelle canzoni a volte interviene e scompare una voce (Lisa Hannigan), dolce e allo stesso tempo distaccata che non chiede l’attenzione dell’ascoltatore, ma se la prende, così come accade in “Cold Water”.
Damien Rice ha personalità, ed è una personalità tutta sua, formata, rifiutando anni fa un contratto con la Polygram che lo avrebbe fatto diventare una pop-star, per ritirarsi due mesi in una fattoria sulle colline fiorentine dove ha stemperato lo spleen e trovato una dimensione musicale appropriata a raccontarlo.
Il cd non ha cadute, dai pezzi più impetuosi come “The Blower’s Daughter”, ai folk di Lisa come “I Remember”, è costantemente in grado di trasmettere forti emozioni.
“I remember it well”: l’impressione dopo aver ascoltato il disco è questa, “Lo ricordo bene”. L’angoscia entra nella pelle, quell’ansia sussurrata si insinua nelle orecchie e nel cuore, l’istinto è quello di far ripartire il disco nella disperata ricerca di una salvifica via di fuga che permetta di goderne senza soffrire.