Brunori Sas Vol. 2: Poveri Cristi
2011 - Picicca
Ora la pluripremiata ditta Brunori Sas, volta alla “produzione e commercializzazione di canzoni autentiche”, ritorna con suoni più curati e profondi, come se da sfondo “casalingo” fossero diventati scenografia tridimensionale, a rievocare meglio il sapore degli ambienti. Ecco allora echi distanti e struggenti di piano, chitarre essenziali e dolci, cadenze bandistiche, movimenti poetici o cinematografici di archi, nostalgie di fiati raffinati, momenti impetuosi dallo spirito punk, con percussioni quasi etno-world (Animal Colletti con Dimartino).
L’immediatezza della scrittura di Brunori, la sua abilità di fotografare negli umori e nella storia di un singolo le sofferenze “banali” di una generazione, la sua voce, che graffia come la realtà, e le linee melodiche ricordano anche in questo lavoro Rino Gaetano. Del Battisti dell’era mogoliana sembra rivivere qui la naturalezza priva di artifici del cantato, filtro trasparente degli stati d’animo, e la semplicità levigata e calda della musica. Alcuni momenti di sotterranea ironia rammentano il Dalla storico, cantore di scene d’interni simbolici e di amori disfatti: è il caso del triangolo de Il suo sorriso, su amicizia e amore tradito, con ospite l’amico Dente, di cui talvolta nelle canzoni dell’album torna in mente la disarmante dolcezza antiretorica.
Altre volte ancora si può pensare a Ivan Graziani, o alla dignità aliena dal pathos di De Gregori nel narrare “la miseria e la malinconia”: si ascolti la commovente storia de Il giovane Mario, con le sue sconfitte, i suoi desideri frustrati di una vita migliore, ma anche il suo piccolo mondo famigliare, nido caldo e preziosa ricchezza, a cui stringersi.
Ma inequivocabilmente questo, stilisticamente e musicalmente, è Dario Brunori, con la sua capacità di immortalare le gioie piccole e le stigmate di tanti “invisibili” poveri cristi, non-eroi del quotidiano, tanto diffusi nella loro normale eccezionalità da non meritarsi neanche la maiuscola, martiri sconosciuti di un presente precario e amaro, che dissecca i sogni. E ancora con l’abilità di raccontare la società attraverso simboli religiosi, emblemi nostalgici e feticci pop con delicatezza asciutta, senza enfasi o lacrime.
Nelle sue canzoni gli affetti hanno una tenerezza intima e intatta, “antica” e benefica, come nella romantica La mosca, che, accompagnata da una piccola orchestra un po’ folk e un po’ maestosamente classica, scaccia il pericolo e le insinuazioni di incostanza, oppure nella lenta, lieve ballata acustica d’amore Bruno mio dove sei e nel suo dialogo impossibile: “i nipoti stanno crescendo e ogni tanto mi chiedono di te, se dal cielo tu li stai guardando […] Eh, è proprio assurdo il buon Dio, dovevo esserci io al posto tuo. Te la saresti cavata molto meglio di me, che non so neanche vivere senza di te”. Altre volte i sentimenti lasciano segni di nostalgia che sarebbe bello magicamente potessero restaurare la felicità (Tre capelli sul comò).
In questo secondo album, coprodotto nuovamente con Matteo Zanobini (già al fianco di Brunori nel “piccolo ensemble pop” dei Blume) e in uscita il 17 giugno, si assiste al passaggio da una piccola, umile “epica” dell’io a soggetti plurimi, come se il nostro cantastorie, rimettendosi in gioco, avesse spalancato una finestra su un microcosmo di piccole parabole di vita quotidiana, osservandole empaticamente.
Una sensibilità rara, candida e sobria. Senza dubbio un disco dell’anno. E uno dei migliori cantautori italiani dagli anni Zero in poi. Imperdibile.