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Sanremo 2025 Bilanci e commenti finali della nostra redazione
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Sul podio del Festival sono finiti solo uomini? Qui abbiamo invece un poker di donne che ci regalano i loro bilanci finali e i loro diversi punti di vista. Ecco i commenti di Barbara Bottoli, Ambrosia J. S. Imbornone, Arianna Marsico e Sara Velardo su Sanremo 2025.
Barbara BottoliHo sempre iniziato le mie riflessioni rispetto al Festival di Sanremo affermando che queste cinque serate sono l'istantanea rispetto alla società attuale e mai come in questo 2025 confermo tale premessa, con un briciolo di speranza.
Finalmente è terminata la direzione artistica di Amadeus che, sebbene abbia dovuto gestire uno spettacolo pre e post pandemia, aveva privilegiato una festa in stile Capodanno adolescenziale nel quale il diktat sembrava essere “ porta pure chi vuoi perché ce dobbiamo divertì”; invece Carlo Conti ha sicuramente esagerato con i Big in gara, ma ha privilegiato la sobrietà che talvolta si persegue imponendo delle regole.
La kermesse capitanata da Conti è iniziata con le parole dell'immenso Ezio Bosso “ricordatevi sempre: la musica come la vita si può fare solo in un modo: insieme”, creando il leitmotiv della rassegna, al punto che anche alcuni intoppi sono passati in secondo piano rispetto al senso intrinseco delle cinque serate risultato di un lavoro lungo mesi; infatti spesso tendiamo a dimenticare come a quelle ore seduti sul divano corrispondano interessi economici, personali ed emotivi.
Il direttore artistico è riuscito a concedere a chiunque il giusto spazio, con grande neutralità; quindi Fedez che si presentava sul palco coi riflettori puntati delle varie testate scandalistiche è stato incorporato nella gara al pari degli altri artisti presenti, tra l'altro con un brano intenso e portando anche un'umanità discreta a differenza di Cristicchi che, malauguratamente, ha peccato di incoerenza presentando una retorica che ha ampliato con polemiche ormai superate, ma alla fine ha ottenuto il suo tanto ambito premio della critica (mi permetto di aggiungere: criticabile).
La sobrietà è stata esplicitata anche nell'eleganza dei partecipanti – finalmente – ponendo attenzione alla musica, sebbene, nemmeno stavolta, si siano presentati i brani della vita, ma dobbiamo acquisire la consapevolezza che anche la musica ha una dimensione nuova: veloce, deve richiedere poco sforzo interpretativo con una massima resa commerciale, come dimostrano i Coma_Cose che con Cuoricini scaleranno la hit delle stories social o The Kolors con Un ragazzo una ragazza .. ops, ho sbagliato, il titolo del 2025 è Tu con chi fai l'amore.
Conti ha più volte sottolineato la squadra di lavoro e, sembra, aver mantenuto un clima professionale anche dietro le quinte, privilegiando i tempi e la musica, perdendosi spesso in eccessivi ricordi, tanto da far apparire alcuni momenti come la pagina dei necrologi dei quotidiani, ma le scelte si sono rivelate vincenti e condivisibili, anche per essere riuscito a non far terminare le serate agli spettatori stremati all'alba.
Un plauso alla scelta di alcuni Big, personalmente attesi, e finalmente riconosciuti per il loro talento: Brunori SAS e Lucio Corsi; innanzitutto sono cantautori con due scritture molto diverse, ma capaci di stravolgere le emozioni in modo viscerale. L'albero delle noci si guadagna il terzo posto, oltre al Premio Bardotti per il miglior testo con una descrizione sull'immensità dell'amore che inizia come una favola e creando la favola della vita, mentre Volevo essere un duro si piazza al secondo posto aggiungendo il Premio della Critica Mia Martini, utilizzando anch'essa immagini fantastiche e limpide per la realtà.
Il Festival di Sanremo 2025 si snoda sulla praticità dell'unione e sulla creazione del racconto della propria storia attraverso la purezza della vita, quindi Conti ha tenuto fede alla propria apertura rendendola onesta e non solo di spettacolo, e mi sento di intravedere una luce di speranza dopo queste cinque serate che indicano le vie del talento e dell'impegno come premianti.
Ambrosia J. S. Imbornone
Un festival ecumenico, volutamente senza monologhi, con pochissimi accenni alla politica (giusto in qualche battuta di Benigni e di Geppi Cucciari, che sarebbe una conduttrice molto più vivace, divertente e intelligente della maggior parte dei conduttori uomini che ci siamo dovuti sorbire in questi anni). Con tanto di video del papa (che Dagospia ha pure sollevato che fosse stato registrato in altra occasione, ma Conti ha smentito).
Un festival abbastanza retorico e stucchevole di mamme e papà, bambini, fratelli, sorelle definiti "maestri” (rigorosamente al maschile), in cui l’unico tema importante affrontato in modo davvero meritevole d’attenzione credo siano stato il disagio psicologico. Molto tenera, infatti, è stata l’esibizione del Teatro Patologico, bellissimo e prezioso progetto dell’omonimo associazione di Dario D’Ambrosi che dal 1992 avvicina al teatro ragazzi e adulti con gravi problemi psichici.
Fedez, invece, che pure non è proprio my cup of tea, è stato autore di interpretazioni sofferte, su una canzone insieme cupa, eppure orecchiabile sulla depressione (o meglio, sindrome ansioso-depressiva?), Battito. Essa ha il merito non solo di sdoganare una volta in più un tema che sembra ancora essere talvolta un tabù, ma anche di soffermarsi su aspetti specifici e delicati, dai sintomi fisici a farmaci sicuramente utili, ma che talora fanno sentire anestetizzati e svuotati. Finto? Costruito? A maggior ragione ha interpretato bene il pezzo, perché sul palco sale sempre l’artista e quello dovrebbe essere giudicato.
Poi, al netto di critiche a mio avviso oziose e inutili su raccomandazioni e stonature, molto commovente e sentito il duetto di Paolo e Lunita Kessisoglu (artista non binari*, attiv* come IamOllie) nel brano Paura di me, in cui si parla del buio con cui tanti adolescenti lottano in silenzio e chiusi nelle loro camere. "La pandemia ha fatto da detonatore delle problematiche del mondo giovanile con disturbi dei comportamenti alimentari e varie patologie depressive anche dei ragazzi giovani con agiti suicidari, autolesionismo anche prima di 14 anni e post adolescenza fino ai 25", ha ricordato Paolo, che ha cantato "Se preferisci stare sola ad ascoltare i Blink io mi sdraio fuori dalla tua porta a fare da buttafuori ai tuoi incubi". Un’immagine delicatissima di un padre che comprende un momento difficile, ma sa anche restare dietro la porta, per essere presente, sì, ma con discrezione.
A proposito di porte chiuse dei figli, vi consiglio di vedere di contro il divertente video di Volevo essere un duro di Lucio Corsi, diretto dal coautore del pezzo, il chitarrista e regista Tommaso Ottomano, con l’amichevole partecipazione di Massimo Ceccherini nei panni del padre severo in una famiglia ipocrita e perbenista e di Leonardo Pieraccioni nelle vesti di…un prete esorcista.
Questa è la mia canzone di quest’edizione del festival, un brano semplice, elegante e caratterizzato da quell’aura ironica e sognante tipica di Corsi, che anche al Festival è rimasto sé stesso, ma è riuscito anche a raggiungere un pubblico più ampio, lanciando un messaggio molto importante, in tempi in cui ancora i bulli ti “truccano gli occhi di nero” e i duri sembrano ancora essere il modello dominante anche su TikTok e company, dove tanti si vantano di bravate e soldi guadagnati male. Invece esistono tanti modi di stare al mondo e si può essere semplicemente sé stessi, semplicemente Lucio, che cade dagli alberi, ha paura del buio ed è “cintura bianca di Judo”. Perché è “inutile fuggire dalle tue paure”.
Lucio Corsi, lo sappiamo da tempo, ha personalità e talento ed è salito su quel palco senza mai apparire snob, ma in punta di piedi, portando una ventata di originalità e dolcezza, come nel duetto con Topo Gigio. Tra l’altro, laddove qualche "artista" si è lamentato di non poter sfoggiare collane di marchi famosi che costavano quanto vari anni di stipendi altrui, il nostro outsider del cuore non aveva neanche uno stilista e si è imbottito con le buste di patatine le spalline dei suoi fantasiosi e personali costumi da alieno glam.
Corsi si porta a casa un inatteso e magnifico secondo posto, il Premio della Critica Mia Martini (con netto stacco rispetto agli altri artisti), il Premio Assomusica per la “Migliore Esibizione Live di un artista rivelazione” della kermesse e la Targa come Miglior artista indipendente al 75° Festival di Sanremo, assegnata dal MEI.
Sono apparsi coerenti con sé stessi e hanno potuto meritatamente ampliare la loro visibilità anche Brunori Sas e Joan Thiele. Il primo ha portato all’Ariston L’albero delle noci, una canzone che forse non è la migliore della sua carriera, ma ha un bel testo, con immagini non scontate e personali, sulla paternità, sicuramente molto oltre la retorica sulla famiglia e la natalità di questo Sanremo: si sofferma infatti sul timore dell’inadeguatezza a una responsabilità e un compito così difficile e ad emozioni così forti. Il brano sfoggia inoltre musicalmente un tocco malinconico (tra linea di piano e chitarra elettroacustica), non nuovo nella sua produzione, ma neanche così diffuso nella sua produzione, spesso agrodolce, sì, ma anche molto ironica. Profondità e ironia d’altronde sono le caratteristiche che Brunori amava e ha avuto il merito di ricordare venerdì 14 in Paolo Benvegnù.
Brunori Sas si è piazzato, anche qui forse imprevedibilmente, al terzo posto e ha ricevuto il Premio Sergio Bardotti per il Miglior testo. L’apprezzamento molto diffuso ricevuto da Lucio Corsi e Brunori ha fatto in modo che molti si chiedessero in questi giorni se stia cambiando qualcosa nel panorama musicale italiano. Brunori è al sesto album, Corsi pubblicherà a marzo il suo quarto lavoro e ovviamente Mescalina, come tantissimi altri addetti ai lavori e moltissimi estimatori, li hanno seguiti fin dagli esordi, ma non erano ancora nomi veramente nazional-popolari e di massa. Eppure, il televoto non li ha penalizzati, per fortuna. Vuol dire che i cantautori, che Amadeus aveva tenuto un po’ lontani da Sanremo, funzionano all’Ariston (talora più dei soliti team che scrivono tormentoni a tavolino)? Vuol dire che c’è il desiderio di ascoltare qualcosa di diverso e di spessore? Io so solo che esistono adolescenti che citano Fabrizio De André come artista preferito di sempre e altri che “scoprono” da soli nomi come The Smiths, Nirvana, Radiohead, Mitski. Molti (o almeno alcuni) di loro sanno che certe canzoni vanno bene alle feste, sì, ma poi ne cercano altre per riconoscersi e riflettere. E se offri la vetrina giusta a progetti curati, ma con ottime potenzialità per diventare popolari, la gente (almeno a volte) ascolta e apprezza. Spesso si sottovaluta il pubblico e in tv si gioca al ribasso, cosa che non può che impoverire la cultura musicale italiana.
Joan Thiele, che sfodera una voce riconoscibile con vocazione internazionale e un fascino particolare, pure ha scelto con Eco un pezzo di buona intensità e adeguato al contesto, in italiano e con un tocco deliziosamente retrò. C’è da dire che molto probabilmente si sono accorti di lei grazie al David di Donatello vinto con la canzone Proiettili, interpretata con l’amica Elodie per il film Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa, così come Corsi è a Sanremo probabilmente grazie alla serie Vita da Carlo 3, in cui Verdone l’aveva proprio chiamato a interpretare se stesso come cantautore che non sapeva se partecipare o meno al Festival.
Simone Cristicchi ha presentato invece la commovente Quando sarai piccola, un brano sulla madre malata di Alzheimer, attirandosi moltissime critiche di opportunismo, motivo per cui si è fermato “solo” al quinto posto. Il cantautore comunque ha sempre mostrato la sua sensibilità per situazioni “marginali”, che quindi non è una maschera che tira fuori dalla naftalina per farsi notare all’Ariston, ed ha sempre avuto inoltre una scrittura delicata. Non sembra interessato ai riflettori e ha portato avanti tanti progetti vari di argomento sociale, teatrali e non solo, ad es. realizzando un documentario sugli ex ospedali psichiatrici, cantando con il coro dei Minatori di Santa Fiora, con i ragazzi del carcere minorile di Nisida, ecc. L’atmosfera poetica è la sua cifra stilistica e l’intento, a mio avviso, non era di offrire una visione edulcorata della malattia nella canzone in gara quest’anno, quanto piuttosto quello di accendere una piccola luce sul quotidiano di tante persone invisibili e delle loro famiglie. Cristicchi, comunque, si è aggiudicato il Premio Sala Stampa Lucio Dalla per i Campioni (Sala stampa Radio-TV Web) e il Premio per il miglior componimento musicale Giancarlo Bigazzi, attribuito dai professori dell'orchestra, oltre che il Premio Lunezia per Sanremo 2025.
Degna di nota a mio parere anche una canzone molto sottovalutata di quest’edizione, Viva la vita, presentata da Francesco Gabbani. Non è un brano originalissimo nel testo, che sarà pure questo un po’ ecumenico, però si sente la mano di Pacifico e questa classica ballata sanremese funziona bene, soprattutto nel ritornello avvolgente e tocca buone punte di intensità. In altre edizioni e con altri competitor sarebbe finita sul podio. E poi comunque personalmente al Gabbani ironico preferisco quello più serio ed emozionante, ascoltato per esempio in Spazio tempo, colonna sonora della serie tv Un professore, o in Un sorriso dentro al pianto, scritta per Ornella Vanoni.
Infine, ricordo la quota leggerezza del Festival, rappresentata da Cuoricini dei Coma_Cose, che giocano la carta dell'ironia. Fausto Lama e California (Francesca Mesiano) non si prendono troppo sul serio, al contrario di tantissimi su quel palco, che non sembrano consapevoli di cantare mere canzoncine. Il duo invece la canzoncina l'ha confezionata appositamente per divertirci, farci ballare e invadere le storie di Instagram e TikTok, ma anche per farci riflettere sulle dinamiche relazionali e social di oggi, per quanto sì, il tema della dipendenza dai “like” sia noto e abusato. Caramellosi, giocattolosi, synth-pop, secondo tanti i nuovi Krisma, insomma deliziosi a modo loro. E non potremmo mandare i Coma_Cose al colorato carrozzone (ovviamente kitsch) dell’Eurovision Song Contest?
Invece, con appena il 23.8% di preferenze totali contro il 23,4 di Corsi, la palma della vittoria è andata a Olly, che sembra un bravo ragazzo, che piace molto ed è pure laureato.
Ad ogni modo questo è stato un Festival in cui sì, le artiste hanno brillato meno (al netto della voce straordinaria di Giorgia, che però forse aveva una canzone d'effetto, ma troppo banale per il podio), ma gli artisti uomini che sono finiti sotto i riflettori non sono stati quelli di cui scintillano le catene d'oro o i coltelli dell'arroganza e del machismo più tronfio e aggressivo, quanto piuttosto persone che su quel palco hanno portato le fragilità e i sentimenti, loro e di tanti altri. Di cui non dovrebbero mai vergognarsi. L'epoca dell'uomo che non deve chiedere mai potremmo tranquillamente archiviarla (magari con quella del facile rancore verso le belle stronze): sarebbe anche ora.
Il Festival è finito, andiamo in pace. Alla prossima!
Arianna Marsico
Promessa mantenuta. A dispetto dei trenta, poi diventati ventinove (per il ritiro di Emis Killa), cantanti in gara, Carlo Conti non ci ha tenuti in ostaggio. Siamo tutti andati a dormire senza l'intervento delle teste di cuoio.
E le canzoni sono tornate al centro dello spettacolo, non più un intervallo tra una poltrona e un sofà.
Poi certo, su un certo storytelling e sulla qualità delle canzoni selezionate qualcosa da ridire c'è, a parte le lodevoli eccezioni (di cui parleremo).
Sia lodata Geppi Cucciari, ma lato brani possibile che non ci fosse niente di meglio? Risulta più attuale (e interessante) Tra le mani un cuore di Massimo Ranieri che Dimenticarsi alle 7 di Elodie (che pure con Due non aveva sfigurato nel 2022). I Cuoricini dei Comacose, imitando male sia i Baustelle che i Ricchi e Poveri, sono imbarazzanti, ma ci perseguiteranno mentre tenteremo di bere in spiaggia un mojito per dimenticarli. Rkomi non pervenuto. Su certi nomi inutile scrivere. “Canzoni brutte”, come canterebbe Paolo Benvegnù. E poi ci sono le occasioni sprecate. Giorgia in primis, ma anche Francesca Michielin, portano brani come La cura per me e Fango in paradiso decisamente al di sotto del loro potenziale!
Cosa salvare?
La timida grazia di Joan Thiele in Eco. Il commovente amore filiale di Simone Cristicchi di Quando sarai piccola. L'ironia di Grazie ma no grazie di Willie Peyote. Un Brunori che con L'albero delle noci spacca il cuore e squassa le emozioni. E la vera sorpresa per il grande pubblico, Lucio Corsi, che con Volevo essere un duro si gode il momento e inneggia all'essere gentili e autentici.
La serata delle cover ha momenti imbarazzanti. Chissà che penseranno dall'alto Franco Califano e Pino Daniele, cannibalizzati, con botte di autostima degne di miglior causa, rispettivamente da Noemi con Tony Effe e da Rocco Hunt con Clementino. Il Califfo almeno può consolarsi con la versione di Un tempo piccolo proposta da Willie Peyote con Ditonellapiaga e Tiromancino.
Johnson Righeira rivitalizza una L'estate sta finendo che i Coma_Cose stavano anestetizzando.
Emozioni contrastanti emergono dopo l'ascolto de La Cura cantato da Simone Cristicchi e Amara. Serena Brancale con Alessandra Amoroso rende finalmente giustizia a sé stessa e alla propria voce con una If I Ain't Got You di Alicia Keys da brividi.
Brunori propone L'anno che verrà con Dimartino e Riccardo Sinigallia. Minimale nei suoni, amichevole e calda nel timbro di Dario. Toccante è la dedica a Paolo Benvegnù, che proprio il 14 febbraio avrebbe fatto sessant'anni.
Vincono la serata come prevedibile (e tecnicamente indiscutibile) Giorgia e Annalisa con Skyfall di Adele, ma a stupire di nuovo è Lucio Corsi che arriva secondo. Porta Topo Gigio sul palco dell'Ariston per Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. E il risultato non è una triviale parodia. C'è la magia dell'infanzia con tutta la sua poesia.
E che quasi fino alla fine ci fa sperare che vinca Lucio...vince invece Olly con Balorda nostalgia.
Ma il loro abbraccio e il restare aggrappati anche dopo l'annuncio della vittoria fa anche sperare in un mondo dove ci sia spazio per un modo di essere diverso, non bullo, da "cintura bianca di judo".
Sara Velardo
Alla disperata ricerca di emozioni
Domenica mattina, ore 9.30.
Mi sveglio in hangover da canzoni, dopo una notte a macinare ritornelli e somiglianze, parole e melodie.
Ventinove artisti in gara, più i brani degli ospiti, più le pubblicità delle fiction Rai, più i jingle pubblicitari.
Tonnellate di note che mi piombano addosso, che invadono un paese intero per una settimana.
Un All you can eat musicale che cerca di abbracciare diversi gusti e diverse età, quindi o accontenta o delude, e raramente sorprende.
Ma in un momento storico in cui l’intelligenza artificiale marcia minacciosa alla conquista delle arti creative, forse iniziamo a cercare qualcosa che si differenzi in originalità ed umanità.
Forse, in un momento in cui tutto è replicabile e riproducibile in modo massivo, siamo alla ricerca di una connessione profonda.
Dopo anni di Amadeus e di tormentoni radiofonici, il circolino degli autori è stato sconfitto, e i cantautori hanno conquistato il podio.
E questa è forse la vittoria più importante.
Ritorna in vetta il cantautore che porta la propria storia, la propria personalità, che non è semplice interprete dell’ennesima canzone prefabbricata, ma racconta un pezzo di vita.
Cristicchi che parla alla madre, Fedez che canta della sua depressione, Brunori che dedica una canzone alla figlia, Lucio Corsi che come sempre ci porta in un mondo di fiabe e verità raccontando la sua unicità nel non perseguire l’eccellenza.
E sul podio Olly, che canta l’intramontabile tema della nostalgia di un amore finito.
Più storie e meno ritornelli prefabbricati.
Grandi assenti le donne sul podio, nessuna delle 12 concorrenti in gara è riuscita ad arrivare nelle prime posizioni, neanche la grande Giorgia o la attesissima Joan Thiele.
Ma al netto delle riflessioni sulle percentuali di donne presenti al festival, bisogna chiedersi obiettivamente se c’erano brani forti cantati da donne che meritavano di arrivare in cima.
Per fare un bilancio di com’è andato questo festival servirebbe porsi solo una domanda: di cosa stiamo parlando oggi?
Stiamo parlando dei fischi alla sesta posizione di Giorgia, della grande sorpresa Lucio Corsi, del testo strappalacrime di Cristicchi, che ha emozionato molti ma anche divisivo.
Stiamo parlando di canzoni.
Non di outfit o gag o monologhi.
Chi ha amato i festival in stile villaggio vacanze di Amadeus si sarà sicuramente sentito spiazzato o spiazzata dal rigore di Carlo Conti: pochi momenti morti, poco spazio alle battute (Benigni non è mai stato così poco su quel palco da che io ne abbia memoria), niente monologhi, un sacco di doverose ospitate e marchettate Rai, molto distacco dai concorrenti in gara.
Ieri sera seguivo la scaletta dal file pdf della Rai e ho notato che Carlo Conti ha chiuso il televoto con solo un minuto di ritardo sulla scaletta.
Un solo minuto.
Una grande soddisfazione immagino per lui, ma ho visto cantanti correre per uscire dal palco, essere interrotti bruscamente dal conduttore, muoversi confusamente sul palco senza sapere cosa fare, perché Conti non si è premurato neanche di salutarli o accompagnarli.
Se è vero che le canzoni (forse) ritornano al centro, è altrettanto vero che se seguiamo il Festival per 5 sere di fila, non lo facciamo solo per le canzoni.
Lo facciamo perché è una tradizione, perché è come Natale, come i mondiali di calcio.
Lo facciamo perché ci fa sentire tutti uniti da qualcosa: usciamo dalla nostra bolla e cantiamo tutti attorno allo stesso falò, anche se le canzoni non ci piacciono, ma è bello perché stiamo cantando tutti insieme.
Come quando vai al matrimonio di tua cugina e ti ritrovi a ballare Mambo n.5 con tuo zio ubriaco e ti chiedi come ci sei finita lì, che le odi ste cose, ma poi ti guardi intorno e vedi che tutti si divertono, e inizi a divertirti anche tu.
Esci dalla tua comfort zone e ti immergi nel nazional popolare, perché è un po’ come tornare bambini, perché ti ricorda le sere sul divano coi tuoi genitori a schifare i cantanti vecchi che piacevano a loro e fare il tifo per le nuove proposte.
Forse Carlo Conti questa cosa non la sente, forse era teso per il momento storico che stiamo vivendo, forse voleva solo portare a termine il festival senza rischiare il posto di lavoro.
Ma, ripeto, in un mondo che vede le macchine avanzare e occupare il nostro tempo, credo sia meglio qualche minuto di ritardo per dare spazio a una sincera umanità e non limitarsi a seguire una rigorosa scaletta priva di emozioni.
Che di emozioni abbiamo sempre bisogno.
Fonte foto:
Simone Cristicchi: Parole e Dintorni, foto di Giorgio Amendola
Francesco Gabbani: Ma9 Promotion, foto di Chiara Mirelli
Lucio Corsi: Daniele Mignardi Promopressagency, premiazione Assomusica.
Foto copertina compilation ufficiale, Warner music.
Fedez: Warner music.
Brunori: copertina del singolo L'albero delle noci.
Foto principale: cover del nuovo album di Lucio Corsi, Volevo essere un duro, in uscita il 21 marzo.