Tommy Castro & The Painkillers Stompin` Ground
2017 - Alligator Records / IRD
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Accompagnato dai suoi Painkillers, Tommy cesella con gran mestiere dodici pezzi (7 originali e 5 cover) dagli umori più vari, corposi (siano quasi sempre oltre i 4 minuti) e ben congegnati, che si muovono da basi rock blues verso un'insopprimibile tentazione southern soul. La potenza della voce non è proprio da specialista del genere, ma la professionalità e l'ottima impostazione sostengono alla grande la buona volontà di un “viso pallido” che si confronta con i suoi miti (Otis Redding, Wilson Pickett, James Brown). Il resto lo fanno gli arrangiamenti, con dentro più di quel che ci si aspetterebbe: assoli di chitarra (ovvio), ma anche fiati, interventi del sax, tastiere precisissime e background vocals femminili che sbucano da tutte le parti. Sopra ci mette il marchio di qualità l'Alligator di Bruce Iglauer, dal 1971 una sorta di chiocciolina rossa Slow Food per il rock blues americano, mentre alla produzione c'è Christoffer “Kid” Andersen, peculiare figura di giovanissimo bluesman norvegese trapiantato a San Jose, che mette a disposizione il suo studio di registrazione.
Il brano che più lascia il segno è Love Is, un soul blues dalle marcate cadenze funky dove la chitarra di Castro ricorda, in certi passaggi, le sonorità di Stevie Ray Vaughan: comincia a sopresa con la nuda sezione ritmica – completata da un'efficace percussione – e chiude con uno sviluppo extra. L'altro attacco che non lascia indifferenti è quello di Fear Is The Enemy, appesa agli accordi di un potente riff e instancabilmente contrappuntata dalle tastiere di Mike Emerson. Tommy pigia spesso e volentieri sul pedale più sicuro del boogie, come in Enough Is Enough, sfondo ideale per una slide sanguinolenta, mentre Soul Shake, in duetto con Danielle Nicole, strizza l'occhio al rock'n'roll.
La traccia introduce al capitolo ospiti, che sono pochi e selezionatissimi, senza indugiare nel vizio ricorrente di collezionare figurine per colmare un evidente vuoto di ispirazione. Qui gli special guests rinforzano la squadra e permettono di schierare il modulo chitarristico a due punte. E così in Rock Bottom (con Mike Zito) le sei corde prima si sovrappongono in un effetto quasi psichedelico e poi ingaggiano un duello serrato e spumeggiante, perfettamente a tono. La replica è su Them Changes, in compagnia del “lupo” David Hidalgo. L'originale è di Buddy Miles, dall'omonimo disco del 1970 (una gemma da rispolverare), e ha un riff hendrixiano soul rock potente e indimenticabile. Castro e Hidalgo ci aggiungono le loro chitarre, incrociando a turno il suond più squillante del primo con quello più “legato” e rumoroso del secondo, già (si fa per dire) riconoscibile come un classico. L'ultimo numero spetta a Charlie Musselwhite, ispirato e sornione alla voce e all'armonica: Live Every Day è un'amabile conversazione in veranda, tra due amici, con un canonicissimo sfondo blues.