Tommy Castro & The Painkillers KILLIN`IT LIVE
2019 - Alligator / IRD
Il nuovo disco di Tommy Castro è un agitato mix che gravita attorno all’essenza del R&B, assemblato dal sound muscolare dei Painkillers. Nient’altro che il sunto della musicalità del chitarrista di San José, che spazia dal soul di Memphis fino al blues della West Coast, attraversando un grintoso Rock and Roll. I suoi concerti dal vivo sono tenuti insieme da una carica energetica ad alto impatto e Killin’ It Live ha voluto immortalare su disco la freschezza e la compattezza di una band che viaggia su frequenze sintonizzate alla perfezione, basta ascoltarla nelle improvvisazioni sul set e nelle dinamiche del sound.
Dopo l’ultimo Stomping Ground, dove avevamo un rockettaro blues che dava sfogo al suo linguaggio con inflessioni southern soul e dialogava con ospiti d’eccezione come Charlie Musselwhite, David Hidalgo e Mike Zito, Tommy Castro decide di uscire dagli studi di registrazione e darci un’idea di ciò che significa un suo spettacolo dal vivo. E la festa comincia proprio dalla rovente Make It Back To Memphis sulla quale l’infuocata sessione ritmica di Randy McDonald al basso e Bowen Brown alla batteria, si inventa un vivace R’n’R mentre il piano di Mike Emerson entra in modalità barrelhouse. Il frontman californiano è in grado di miscelare con maestria un cocktail variegato, mescolando il funky blues di Leaving Trunk (scritta da Sleepy John Estes ma più conosciuta dopo la versione di Taj Mahal) costruito sulle acrobazie di organo e chitarra, con i sapori agrodolci di Lose Lose, uno slow penetrante condotto dalla pienezza del basso di McDonald e tagliato in due dalle lame affilate della Delaney di Castro. Il navigato chitarrista, aiutato dalla sua voce soulful che riempie di fascino soprattutto i pezzi più melodici, riesce altresì a combinare lo swing/soul uptempo da epoca Stax di Two Hearts e la delicatezza di Anytime Soon, una melodica ballata alla Willie DeVille.
Le registrazioni provengono da diversi set: New York, California, Michigan e Texas, in uno scenario perlopiù intriso di sudore e atmosfera rovente. Un sound squillante, coinvolgente, tanto robusto nel rock blues di Can’t Keep A Good Man Down con le vorticose tastiere di Emerson e i riff brucianti di Castro, quanto esuberante nel rockabilly punk di Shakin’ The Hard Times Loose, in grado di scuotere le vertebre una ad una con le percussioni al galoppo e un favoloso assolo alla Brian Setzer. Sorprendente la versatilità di Emerson alle tastiere, che si destreggia tra accordi bluesy, arrangiamenti soul alla Booker T. e sfumature jazz senza soluzione di continuità.
La band sul palco mostra un feeling invidiabile e un’intesa eccellente e sugli 8 minuti di Them Changes tutti mollano i freni regalando un’incandescente versione del brano scritto da Buddy Miles.
Quel che esce da Killin’ It Live è una performance convincente, un disco ben assemblato che spara colpi sotto i quali si può anche piacevolmente essere “uccisi vivi”.