The Smashing Pumpkins Oceania
2012 - EMI
Le domande di Tear ( Adore, 1998) riecheggiano per tutto l’ascolto di Oceania, fenice con cui si ripropone Billy Corgan (incluso il flop degli Zwan). Il cuore, quello che rendeva dischi come Siamese dream ( 1993) o il maestoso Mellon Collie and the infinite sadness (1995) o ancora l’oscuro Adore ( 1998) non ostici capolavori ma adorati compagni, fratelli, come i lettori per Baudelaire. Il cuore, pur tanto invocato nelle ultime dichiarazioni, se ne è andato, forse già in Machina/The Machines of God (2000) era un eidolon.
Di quella meravigliosa creatura sonora che furono gli Smashing Pumpkins ( e ci tengo a sottolineare il ruolo del gruppo inteso come quartetto: Billy Corgan, Jimmy Chamberlin ,James Iha e D'arcy Wretzky ) resta solo, affiancato da altri musicisti (Jeff Schroeder alla chitarra, Mike Byrne e Nicole Fiorentino al basso), Billy Corgan.
Chi ha generato dischi come quelli già citati ha il dovere quasi morale, se non di mantenersi sempre su quei livelli, perlomeno di dimostrare di aver operato con la massima sincerità artistica, ed invece riproporre gli Smashing Pumpkins in questa veste di estensione di una one man band è disonesto ed a tratti irritante.
Finite le Filippiche passiamo a Oceania. E’ un lavoro con una robusta ossatura elettro-rock ed il piede discretamente pigiato sull’acceleratore, come dimostrano le iniziali Quasar e Panopticon. Quest’ultima alterna momenti di ritmo incalzante ad altri di maggior respiro. Ma i punti che dovrebbero essere più heavy hanno un sapore già sentito.
The Celestials per un attimo riporta poesia e mistero aprendo la strada a Violet rays, dolce parentesi in questo pastiche chitarroso in cui finalmente chi ascolta si sente a proprio a contatto con note vive e testi in grado di smuovere dal profondo.
E’ un’illusione peròche dura solo per due tracce, perché già dalla successiva My Love is Winter si ripresenta un tappeto sonoro che tutto copre e nulla valorizza. One Diamond, One Heart ha un inizio degno di un pessimo jingle pubblicitario e un’atmosfera pseudo-onirica-new age che poteva esserci risparmiata. Né va meglio con la successiva Pinwheels, che forse in cuor suo vorrebbe superare Disarm.
Anche la title-track sembra voler riesumare qualcosa da un passato glorioso ( forse Daphne Descends). L’elettronica che fa timidamente capolino qua e là nella seconda parte dell’album contribuisce a diluire ogni guizzo di forza espressiva.
Bilanciare l’impalpabile oscurità del sound di una volta con la ricerca di nuova luce, con gli anni che sono passati e quindi con le proprie ( legittime) evoluzioni personali non è facile. Forse sarebbe meglio cercare un nuovo percorso sonoro senza nascondersi dietro un nome altisonante e lasciare in pace il blasone degli Smashing Pumpkins una volta per tutte.
Quo usque tandem abutere, Corgan, patientia nostra?