The Orphan Brigade Heart Of The Cave
2017 - Appaloosa Records / IRD
#The Orphan Brigade#Americana#Songwriting #The Orphan Brigade #Nelson Hubbard
(Visita le viscere della terra e con successive purificazioni troverai la pietra nascosta – dall’acronimo V.I.T.R.I.O.L. usato dai Rosacroce e divenuto motto degli alchimisti)
Nato durante il tour promozionale europeo di Soundtrack To A Ghost Story, l’affascinante esordio del 2015 dei The Orphan Brigade, questo secondo disco proietta il gruppo americano tra le band di maggior peso specifico, quelle capaci non solo di produrre ottima musica ma anche di creare un immaginario di suggestioni, stimoli e riflessioni derivate dall’interazione con luoghi “magici” il cui influsso si rivela determinante nella fase creativa. Se la prima “storia di fantasmi” si alimentava delle drammatiche vicende di cui fu teatro Octagon Hall (dimora del Kentucky trovatasi suo malgrado al centro degli opposti fronti della guerra civile americana che si dice ancora abitata dagli spiriti di quanti vi persero la vita), l’ispirazione per Heart Of The Cave deriva dalla visita dei nostri a Osimo, comune marchigiano in provincia di Ancona, in particolare alle sue grotte millenarie, traboccanti di misteri e di racconti tenebrosi di santi e società segrete, ricche di memoria e ricordi di un passato la cui luce spettrale illumina ancora il presente. Un viaggio al centro della terra divenuto viaggio artistico e interiore tra poli che si attraggono, tra oscurità e luce, sinistra carnalità e misticismo, spoglie mortali e luce divina, angeli e demoni, morte e rinascita. Ce n’è a sufficienza per offrire materiale utile ai tre songwriter che restano particolarmente impressionati da questa singolare esperienza (non senza aver provato dal vivo alcune scosse di terremoto proprio mentre si trovavano nelle grotte).
Scritto e registrato interamente sotto le strade di Osimo, l’album raccoglie la fascinazione dei luoghi non solo nei testi ma anche negli echi e nei riverberi di cui si irrobustisce il sound particolarmente ricco degli “orfani”. Ritroviamo qui tutto ciò che era apparso sorprendente nell’esordio, prima di tutto quello stile decisamente originale che attraversa i confini dell’Americana e si addentra in un territorio più ampio, abitato anche da folk, irish music, country ruspante e coralità gospel. Soundtrack To A Ghost Story poteva rimanere un episodio isolato, testimone dell’incontro one shot di tre distinte personalità, invece si conferma, fortunatamente, un progetto destinato a durare nel tempo. Messi da parte fantasmi e guerre di secessione, stimolati dalle vestigia del passato e dall’aura mistica emanata dall’ombra, i tre scrutano l’abisso per poi risalire a vedere le stelle.
Pile of bones è la constatazione della caducità della vita, la consapevolezza di essere di passaggio in questo mondo, “non lasciamo che un mucchio d’ossa, non lasciamo nient’altro”, ma è solo il punto di partenza, l’inizio di una trasformazione, ardentemente anelata, che dalla conoscenza di sé stessi porterà alla luce. Infatti nel libretto viene citata una frase latina usata dai Templari: “Veritas vos liberabit”, conoscendo la verità approderete a una dimensione superiore. Il battere di un tamburo dà inizio alla marcia, seguito dal canto corale, elemento discriminante che contraddistingue ogni singolo episodio di Heart of the cave: la bellezza delle armonie vocali fa risplendere l’arrangiamento acustico di ballate sospese tra antico e moderno nel cangiante colore strumentale tessuto da chitarre, mandolino, violino e qualche breve intervento di pianoforte e tromba che si intrecciano dando vita ad un particolarissimo amalgama sonoro. Difficilmente catalogabili in un singolo genere, se non nel loro essere assolutamente originali, Ben Glover, Joshua Britt e Nelson Hubbard hanno composto tredici suggestivi quadri sonori da gustare con attenzione per godere di ogni loro sfumatura.
La movimentata Flying Joe (dedicata al santo patrono di Osimo San Giuseppe da Copertino, cui si attribuisce la capacità di levitare durante l’estasi) è il brano più immediato e vicino ai canoni classici country folk (l’avevamo ascoltato in concerto qualche mese fa e già allora ci aveva entusiasmato), Town of a hundred churches celebra con enfasi la città ospitante così come Osimo, in cui si fa evidente la penna di Ben Glover. Affascina la delicata melodia di V.I.T.R.I.O.L. punteggiata dai tocchi al mandolino di Joshua Britt, Pain is gone è un sussurro salvifico. The birds are silent narra il tempo sospeso in cui la natura si presenta in tutta la sua forza, vibrante di suoni spettrali e bagliori che sembrano provenire con furia dal cuore stesso della terra, al cui cospetto si è atterriti. Poi il terrore passa, The bells are ringing dissolve la tempesta e il suono delle campane in lontananza rincuora. Sweet Cecilia è di una dolcezza straniante, una donna piange la figlia, ali nere incombono su di lei, ma la speranza, anzi la certezza di potersi rincontrare nell’aldilà dà sollievo al dolore. Proprio nei momenti più bui si scorge la via: Meet me in the shadows è il canto tenebroso, gregoriano, delle voci all’unisono nel registro basso del pentagramma che accompagnato dal rintocco di qualche nota di pianoforte raggiunge profondità inesplorate dove però è possibile trovare una guida sicura per risalire. Il cerchio si chiude, There’s a fire that never goes out è il punto d’arrivo, “possono esserci anche notti buie, ma credimi arriva l’alba”. Altre parole non servono, è la melodia distesa del breve strumentale Donna Sacra a concludere il viaggio, la chitarra e il mandolino vengono solo accennati mentre i vocalizzi di una voce femminile riproducono la serenità finalmente raggiunta, in quieta contemplazione.
Che anche gli Orphan Brigade siano capaci di levitare come il Flying Joe di Osimo? Di certo in Heart of the cave volano alto e sorprendono per il modo con cui si rapportano al “mistero”, una studiata semplicità che li rende unici e affascinanti.