The Niro 1969
2014 - Universal
Il nuovo disco di The Niro è il primo composto da brani con testi in italiano e non in inglese, ma il cambiamento linguistico non ha di certo inficiato la sua musica attraverso contaminazioni con i caratteri deteriori della musica italiana (retorica, eccessi melodici o melodrammatici, ecc.). Il suo sound resta infatti rigorosamente e deliziosamente esterofilo, tra chitarre acustiche folk-rock e arpeggi o acuti radioheadiani (ad es. in Non riesco a muovermi, che poi esplode in una delle più apprezzabili accelerazioni rock del disco), suoni sintetici, sacrali o sognanti, che accompagnano con incedere solenne anche i pezzi più pop (Ruggine), e architetture articolate e cangianti, talora con gusto quasi prog o psichedelico.
Qui è lì (ad es. in Newton) si percepisce una sorta di horror vacui, che dispiace, perché le interpretazioni di Combusti, pronte ad inerpicarsi tra le stelle con acuti vertiginosi, ma anche in grado di risultare incredibilmente intense nelle tonalità più basse, hanno bisogno di ben poco sostegno per essere suggestive: si ascolti ad es. Eroe, in cui le atmosfere costruire attorno alle chitarre sono composte da pochi tocchi evanescenti (soprattutto delicate e discrete note di piano). Nuoce al disco anche qualche isolato episodio in cui il cantato appare a tratti esasperato in falsetti quasi anni ’70 (Ormai); efficaci risultano invece i momenti musicalmente più pensosi e sospesi, come quelli che costituiscono il cuore di Qualcosa resterà, con un basso pulsante in bell’evidenza. La cura per il ritmo d’altronde attesta la sensibilità del polistrumentista, il cui primo strumento fu la batteria paterna.
I testi dell’album alternano riflessioni sociali (sulle illusioni/delusioni suscitate dagli States, la povertà ideale di una società dominata dalla vanità, ecc.) e intimismo, comunque spesso collocato in una dimensione collettiva come termine di confronto e contrasto (Non riesco a muovermi), o ad ogni modo vicino più allo scavo psicologico che non a colori sentimentali (Colpa mia); i versi risultano importanti nel disco, ma mai quanto le linee vocali, la base ritmica efficace, o la tessitura sonora, miniera di suggestioni in cui perdersi piacevolmente.
Combusti è un grande artista, completo, originale, dall’identità musicale e vocale ben definita e affascinante e questo lavoro nel complesso, al netto di qualche minimo, naturale momento di soggettivo appannamento, ne è l’ennesima dimostrazione. Non possiamo che augurargli di tornare in un futuro non troppo lontano a calcare il palco dell’Ariston come super-ospite.